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#Venezia72 – Sulla soggettività nell’arte, un dialogo paterno assolutamente criticabile

di il 16/09/2015
 
  • Non si comincia l’università senza prima una crociera, ti pare?
  • Ci mancherebbe! Ne ho fatta una anch’io quest’estate ma non fa per me. Preferisco gli zingari alla camicia dentro il pantalone
  • Ne ho fatte altre, ma è la prima da sola…
  • Ah beh, allora si. Son tempi, però, quelli che mi racconti, che non solo non ricordo più ma che probabilmente non ho mai vissuto.
  • Tanto vecchio sei?
  • Non solo. Sono sempre stato indipendente. Per questo fatico a capire la vita di chi deve assecondare regole scritte da altri.
  • Sei più grande di me, potresti essere mio padre, hai visto tante cose di più.
  • Non c’entra. L’esperienza ha ben poco a che vedere con l’età. Magari bastasse invecchiare.E’ una moneta ben più preziosa da guadagnare. Mi piacerebbe essere genuino, sarei più felice. Ma ormai ho rotolato troppo nel fango. Così dalle dita mi esce solo una sorta di novello Savonarola.
  • Ho letto, e ho vagamente ritrovato il nostro discorso sull’oggettività. Te lo sei proprio legato al dito…
  • Hai notato la risposta dei superbi quando gli si chiede sull’esistenza dell’oggettività nell’arte? Un si perentorio. Ma quando si chiede di fare una scheda a crocette con gli elenchi dei parametri oggettivi da usare? Nessuna risposta. Fa figo far credere che esista una competenza, quando invece può esistere solo esperienza. La competenza riguarda aspetti tecnici che esulano con la riuscita di un’opera, pur apprezzabili. Ma l’arte inizia e finisce nella rievocazione di esperienze passate per il pubblico (che possono portare piacere o dispiacere), e un’esigenza che somiglia ad una valvola della pentola a pressione, per gli artisti. Prima o poi parlandone si arriva sempre qui.
  • Se l’arte dà emozioni che sono rievocazione di esperienze passate, allora che senso avrebbe dare un premio a un film se per me magari non dice nulla? Che senso avrebbero i premi cinematografici? Tanto l’arte è soggettiva, no? Io sono tutt’altro che competente in questo campo però penso che in ogni cosa bisogna trovare un equilibrio e quindi sto nel mezzo tra “l’arte è pura soggettività” e “l’arte è solo schemi e regole oggettive”.
  • 1) Che senso ha premiare un film che non ti dice nulla? Nessuno. Ma, se a tanti è piaciuto, cerca di capire il perchè. 2) Che senso hanno i premi cinematografici? Innanzitutto è promozione di film, veicolata il più delle volte dalla casa di produzione che mette pressione ai giurati per spingere il vincitore. A volte, quando non ci sono grandi interessi sotto – come qui a venezia, quest’anno, con tutti autori pressoché sconosciuti – è la giuria a decidere. Sono una decina di persone, nella riunione dicono quali sono i film che gli sono piaciuti di più e il film che ha più voti vince. Tutto qui.
  • 1) Ok lo posso anche capire ma rimarrà sempre un film che non mi piace perchè se non dà emozioni non c’è nulla da fare. E ora che i miei genitori hanno visto il vincitore mi hanno spiegato un po’ come mai secondo loro ha vinto… del tipo che sembrava molto veritiero, la regia era molto buona ecc.. ma sono pur sempre parametri oggettivi (almeno lo è la regia). 2) Allora nella giuria ci potrebbero essere anche persone qualunque se si tratta solo di dire “mi è piaciuto” o “non mi è piaciuto” piuttosto che “è fatto bene, bella fotografia, sceneggiatura un po’ scarsa, attori bravi…”? Secondo me non è così… nella giuria ci sono persone più o meno esperte di cinema che danno un giudizio in base alle emozioni ma anche in base a com’è fatto il film in termini oggettivi
  • 1) No. Perchè man mano che crescerai, mi auguro tu faccia esperienze nuove, e quello stesso film potrà richiamarti cose diverse. 2) Si, ci potrebbe stare una persona qualunque, ma ci si augura che chi lavora nel cinema abbia vissuto le stesse esperienze che mi auguro per te in futuro. I grandi nomi della giuria servono più che altro da richiamo mediatico. Quando dici “bello”, “scarso” o “bravi” ti rispondi sa dola: sono tutti termini che hanno a che vedere con la soggettività. Nei film esistono di certo alcune variabili oggettive, come ad esempio la durata, il numero di attori, l’uso del colore o del bianco e nero. Ma sono i paramentri che meno hanno a che vedere col godimento del pubblico.
  • Allora col tempo magari ti piacerà anche Wednesday May 9
  • Mi sarebbe piaciuto da piccolo, probabilmente. Dopo dieci film iraniani identici che parlano della condizione femminile con il medesimo senso estetico, all’undicesimo me ne esco di sala. Il vincitore di Berlino di quest’anno è un film iraniano bellissimo che parla degli stessi argomenti ma li inserisce in un contesto generale, e li espone con un’originalità e una bellezza a volte grottesca che dovrebbe essere presa ad esempio dai suoi connazionali senza talento. Che protestino pure tutti, ma non col cinema.
commenti
 
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  • Paolo Villa
    16/09/2015 at 17:05

    l’arte si fa con la tecnica.
    l’espressione artistica senza capacità artigianale è mero piacere masturbatorio. legittimo, ma non comunicabile.
    fa tanto poesia e romanticismo maledetto credere che a dominare sia l’esperienza, il sentimento pure, slegato dall’occhio che guarda e dalla comunicazione artista-fruitore dell’opera, ma l’arte vera non è questo. e men che meno è questo il cinema, che di per sè è arte collettiva, frutto di forze inter/itra personali dei suoi fautori, e non individuale.
    quindi sì: l’arte si fa con la tecnica, e senza tecnica non c’è arte. c’è una transizione lenta ma inesorabile verso la monnezza in stile beat generation.

    credere nell’arte assoluta, immediata, individuale, è come credere al dio della Bibbia: un atto di fede. che nessuno ha mai dimostrato nelle sue basi epistemologiche. perchè appartiene a un piano di esistenza diverso dal reale, ed è impossibile da dimostrare. nel piano del reale, che è impoetico, caotico e sporco per natura (cfr Leopardi), l’arte non prescinde mai dall’artigianato, soprattutto quando lo nega (perchè lo nega partendoci e poi finisce per tornarci: vedi Picasso).

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  • Michele Arienti
    16/09/2015 at 17:57

    Credo che la mitologica figura del buon padre di famiglia parlasse del giudizio del pubblico sul prodotto finito, non della creazione dell’arte, in cui la tecnica certamente è la parte dominante, assieme all’idea

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  • Paolo Villa
    17/09/2015 at 10:55

    mi pare invero che su questa cosa – soggettività dell’/nell’arte e soggettività del/nel giudizio – il discorso di papa francis sia piuttosto ambiguo. ma d’altra parte il papa non è mica un filosofo, si sa.
    e dopotutto a me non importa un fico secco né il giudizio del pubblico sul prodotto finito, né il giudizio della figura del padre di famiglia, quindi concluderei con un: bene così!

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