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#TheRoom di Tommy #Wiseau

di il 20/02/2018
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IL MIO VOTO


AFORISMA
 

Il reale anelito dell’uomo moderno non è l’amore eterno, bensì la capacità di esprimersi e di farsi comprendere efficacemente

 

Sono molti i film che mi hanno piacevolmente intrattenuta per il tempo della loro durata, pochi quelli che hanno impegnato la mia mente anche nelle ore successive ai titoli di coda, ma solo uno mi ha provocato un dissidio interiore tale, ne sono ormai certa, da cambiare radicalmente il mio approccio ai drammi della vita e all’arte che li vuole rappresentare.
Con The Room, l’abilissimo regista ed interprete principale Tommy Wiseau, riesce a compiere la mirabile opera di trasformare una storia potenzialmente noiosa e dozzinale in un prodotto cinematografico destinato, o forse già divenuto, una pietra miliare della settima arte.
Dal momento che, a detta del buon Calvino, un classico “non ha mai finito di dire quel che ha da dire” e che ciò che vale per la carta può calzare anche per la pellicola, non sarò certo io a togliere la parola a questo must che arriva dritto al cuore:

Denny: “Can I go upstairs too?”
Lisa: “Denny, I think I’m gonna join him.” […]
Johnny: “Denny, two is great, but three is a crowd, he he he”

E’ con questo scambio iniziale tra i protagonisti che il poeta Wiseau rivela già nei primi minuti, ma solo agli spettatori più perspicaci, quale sarà il fil rouge narrativo dell’intera opera. Ammetto, inebriata com’ero dallo scorrere lento di cartoline ingiallite di San Francisco e dall’inaspettata apparizione di un regalo avvolto in carta leopardata, rischiavo anch’io di dare all’opera una lettura tanto scontata quanto insidiosa. Infatti, pensare che con quel “three is crowd” rivolto al figlioccio adolescente, il buon Johnny volesse introdurre il tema della sindrome di Edipo in età post-infantile nei confronti di entrambi i genitori adottivi, è sicuramente fallace. Il ghigno beffardo di Johnny è in realtà tanto esplicito quanto premonitore: qui si parla di triangolo amoroso, baby. E chi l’avrebbe mai detto.

Mark: How was work today?
Johnny: Oh, pretty good. We got a new client and the bank will make a lot of money.
Mark: What client?
Johnny: I cannot tell you; it’s confidential.
Mark: Aw, come on. Why not?
Johnny: No, I can’t. Anyway, how is your sex life?

Chiaro come il sole: l’amicizia tra uomini. E’ fatto noto che, a differenza dei legami tra ochette femmine, che rivelano ogni più sordido dettaglio dei propri pensieri all’amica, pur opportunamente preconfezionato e munito di screenshots per dovizia di particolari, l’affetto tra tori maschi è più scarno, genuino, essenziale. Loro non si dicono più del necessario, non stanno ore a speculare sulle sottili tattiche psicologiche da attuare nei confronti dell’altro sesso per un po’ di frivolo appagamento, non farciscono il loro vissuto di gridolini entusiasti per un gossip succulento e se sono incazzati, beh usano le mani, non tramano subdole vendette alle spalle. Per loro sono pochi i temi che meritano di diventare oggetto di comunicazione. Casa, lavoro (fin dove l’etica professionale lo consente), football, sesso, sesso, football. Il resto è football giocato da polli.

Mike: OK. We’re go-we’re going at it, and um, I get out of there as fast as possible, you know, I-I get my pants, I get my shirt, and I get out of there. And then about halfway down the stairs I realise that I, I have misplaced, I have forgotten, something.
Johnny: Mmm-mmm.
Mike: Uh… my underwear.
Johnny: Hahaha.
Mike: So, pft, so I come back to get it, you know, I pretend I need a book…
Johnny: Uh-huh. […]
Johnny: You must be kidding, underwear, I got the picture.
Mike: Yeah, I don’t know what to do.
Johnny: That’s life!

Altro esempio mirabile di dialogo maschio, anche se il problema di fondo è di spessore freudiano. D’altra parte chi non ha mai inavvertitamente lasciato oggetti, anche rivelatori della propria intimità, nei posti più disparati? La scena mi ha particolarmente coinvolta perché mi riguarda da vicino: confesso che, preoccupato dalle mie ripetute e creative sbadataggini, anni fa mio padre mi fece trovare “Psicopatologia della vita quotidiana” sulla scrivania. Non ho mai avuto il coraggio di aprirlo e scoprire le patologie della mia psiche, ed infatti sospetto di non averle risolte. L’inquietante risata di Wiseau ha però avallato il mio approccio terapeutico: non ne facciamo un dramma, niente imbarazzi, così è la vita.

Johnny: You should tell me everything!
Lisa: I can’t talk right now.
Johnny: [sits next to Lisa] Why, Lisa? Why, Lisa? Please talk to me, please! You are part of my life! You are everything! I could not go on without you, Lisa.

Lisa: I miss you, Mark.
Mark: What are you talking about? I just saw you!

Due pennellate di pochi secondi e l’intramontabile tema dell’incomunicabilità tra uomo e donna è agilmente dipinto sulla tela. Il regista apre gli occhi su una scomoda verità: il reale anelito dell’uomo moderno non è l’amore eterno, come generalmente si crede, bensì la capacità di esprimersi e di farsi comprendere efficacemente, nello specifico dal proprio partner. Niente di più illusorio è credere che le parole uscite dalle labbra arrivino all’orecchio con lo stesso significato: nel breve tragitto sonoro queste mutano come esseri camaleontici o come scioglilingua tra cento partecipanti al telefono senza fili. I risultati di questo fenomeno sono i più vari: incomprensioni, fraintendimenti, scorni, aspettative deluse, rancore. Purtroppo, per quanto il vocabolario umano si sia arricchito nel corso dei secoli, ancora non si è trovato il logaritmo che permette a ciò che si dice di essere recepito con le stesse sfumature con cui viene emesso. Per questo Wiseau ogni tanto fa grugnire il protagonista, invece di fargli pronunciare parole di senso compiuto, per questo risolve l’impasse di molte conversazioni in una risata: ogni soluzione semantica sarebbe comunque vana. Egli però non vuole togliere ogni speranza: la vera comprensione o compassione, nel senso di sentire insieme, esiste anche nella coppia:

Steven: I feel like I’m sitting on an atomic bomb waiting for it to go off.
Michelle: Me too!

 

Lisa: [screaming] What kind of drugs do you take?
Denny: It’s nothing like that!

Johnny: I did not hit her, it’s not true! It’s bullshit! I did not hit her!

Claudette: Everything goes wrong all at once. Nobody wants to help me. And I’m dying.
Lisa: You’re not dying, mom.
Claudette: I got the results of the test back – I definitely have breast cancer.

Wiseau e il sociale: l’uso di droghe nei giovani, la violenza sulle donne, la lotta al cancro. Drammi che si inseriscono nel dramma in modo talmente fluido e coerente, che lo spettatore viene letteralmente rapito dal perfetto ingranaggio costruito ad arte dal capelluto artista.

Johnny: Everybody betrayed me! I’m fed up with this world!

Nell’era in cui tutto è fake, e non solo gli orgasmi femminili, non ci si può fidare di niente e di nessuno. Questo è l’urlo dal sapore pascoliano con cui Johnny trafigge lo spettatore in uno dei momenti più carichi di tensione, di cui non rivelerò i contorni per preservare intatto il climax narrativo. Questa frase è la deflagrazione dell’atroce inquietudine che cresce nel protagonista mentre matura in lui la consapevolezza che tutte le sicurezze faticosamente costruite negli anni accanto ad un’altra persona sono ancor più volatili dei petali di rosa che così amabilmente spargeva sul letto prima di farsi graffiare la possente schiena da mani vestite di una French manicure mal rifinita. Il grido di Johnny è il grido di tutti, di tutti noi che cerchiamo di sublimare la nostra esistenza inglobandovi all’interno un altro essere, costringendolo a forza nei nostri schemi finché il sistema regge in un’apparente serenità che vacilla al primo “What do you want from me, huh? HUH?

Questi assaggi wiseauniani sono bel lungi dall’esaurire le innumerevoli sfaccettature della raffinata ed esclusiva lirica di “The Room”. D’altra parte, anche il titolo stesso evoca la mistica cripticità dell’opera ed io non mi reputo certo in grado di svelare tutti i misteri del suo fascino. Solo un monito giunge dalla regia, per tutti coloro che si azzarderanno a giudicarla: “You don’t understand anything, man. Leave your *stupid* comments in your pocket!

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