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Oltre la notte (Aus Dem Nichts) di Fatih Akin

di il 21/03/2018
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Cosa spinge un attore affermato ad impegnarsi anima e core in un nuovo progetto? Qual è il fattore determinante nella decisione di immergersi totalmente in un ruolo che possa significare un avanzamento nel proprio percorso artistico? Il senso di sfida? Il demone di Stanislavskij? La possibilità di lavorare con un particolare artista? Il cachet? Passiamo brevemente in rassegna alcuni casi di film terrificanti caratterizzati da grandi performance di un attore.
1. Tilda Swinton in A Bigger Splash. La grande attrice inglese, qui muta non per esigenze di copione ma perché dalla sua bocca uscivano solo insulti per Guadagnino, ha accettato la parte per scroccare un paio di settimane di sole e cannoli a Pantelleria.
2. Val Kilmer in The Doors. Occasione unica per giocare a fare la rockstar con la parrucca in epoca pre Guitar Hero. Con il bonus di finte groupies stragnocche che ti toccano il pisello.

3. Joaquin Phoenix in I’m Still Here e Tommy Wiseau in The Room. L’ambiziosa (e riuscita) presa per il culo di qualche decina di migliaia di critici cinematografici ai quattro angoli del globo.
4. Michael Fassbender in A Dangerous Method. In realtà il bel Michael voleva abbandonare le riprese dopo pochi giorni così Cronenberg, per trattenerlo, ha ingegnosamente trasformato il film in uno dei capolavori tout court del cinema comico di ogni tempo attraverso l’uso di un singolo artifizio: l’ululato pan-orgasmico di Keira Knightley.


Diane Kruger riesce miracolosamente a tenere insieme questo pasticciaccio orrendo de via amburgherina, un mappazzone sfilacciato che si dirama in cento rivoli, tra dosi massicce di revenge movie tanto per anticipare l’uscita del remake di Death Wish di Eli Roth, una spruzzata di courtroom drama all’americana, un po’ di meditazione arty sul dolore ed un involontariamente esilarante corso intensivo di bomb-making casalingo.
La cosa straordinaria è che con il progressivo disintegrarsi del film l’interpretazione della Kruger si fa sempre più sofferta e convincente, tanto da portarsi a casa un meritatissimo Prix d’Interprétation Féminine a Cannes. Premio che, in verità, andrebbe diviso con il resto del cast perché tutti gli altri personaggi sono talmente monodimensionali – semidimensionali? emidimensionali? – da far rifulgere la brava Diane di accecante luce propria.
Certo Akin non è regista famoso per la sottigliezza della narrazione ma qui siamo ad una tale mancanza di complessità che al confronto il John Ford di Stagecoach è un fine indagatore della questione razziale. Trovo comunque interessante e coraggiosa la scelta di Cesare Lombroso come casting director perché solo lui poteva riusciva a scovare quei due mostri nel ruolo dell’albergatore greco di Alba Dorata e del difensore d’ufficio. Chapeau!


Per fortuna domani arriva l’ultimo film di Agnès Varda…

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