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MMFF – Metro Manila Film Festival (Summer)

di il 19/04/2023
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Sono sicuro che almeno mezzo milione dei miei affezionati lettori non hanno mai sentito parlare del Metro Manila Film Festival e non li posso biasimare. In concorso sono ammesse solo otto opere inedite prodotte nelle Filippine, selezionate da un comitato di esperti e professionisti del settore. Di conseguenza, la stampa estera, anche specializzata e asiatica, se ne interessa poco. La competizione, poi, è estremamente destrutturata e dimessa. Non c’è un Palazzo del Cinema, col tappeto rosso (non vorrei essere multato per aver scritto “red carpet”). Al suo posto, i nuovi titoli sono proiettati in tutte le multisala del Paese per un periodo che va dai tre o quattro giorni, per quelli meno graditi, fino alle due settimane della durata piena del concorso. Se uno della rosa, poi, riscuote un grande successo, le sale possono tenerlo in programmazione per tutto il tempo desiderato. Se si pensa che la competizione è aperta anche a piccole produzioni indipendenti, si capirà quanto importante sia questo evento per l’industria cinematografica locale. Al posto del red carpet tappeto rosso, a inaugurare il festival, c’è una sfilata di carri, simile a quella dei nostri carnevali, che si snoda per le più importanti arterie di Metro Manila. Sopra i carri, uno a tema per ogni film, si assiepano registi, attori, produttori e maestranze varie. La folla saluta i propri beniamini che distribuiscono caramelle, magliette e altri gadget ninnoli. La cerimonia di premiazione avviene dopo pochi giorni dall’inizio del Festival, anche per segnalare agli esercenti i titoli più meritevoli. Il MMFF si tiene abitualmente a ridosso del periodo natalizio. Per la prima volta, quest’anno, si è pensato di realizzarne una versione estiva. La giuria era presieduta dall’attrice Dolly De Leon, la sorprendente rivelazione di Triangle of Sadness di Ruben Östlund.

Non tedierò i miei tredici milioni di lettori con l’elenco delle opere in concorso, molte delle quali non direbbero niente nemmeno al più appassionato frequentatore del Far East Film Festival. Mi limiterò a parlarvi del vincitore quasi assoluto: About us but not about us di Jun Robles Lana, con nove premi su quindici, e del vincitore al botteghino: Here comes the Groom di Chris Martinez. Purtroppo non sono riuscito a vedere Apag di Brillante Mendoza ma, rimanga tra noi, mi è stato riferito da più parti che era particolarmente “brutto”, senza altre specificazioni.

About us but not about us di Jun Robles Lana

Normalmente non sono un grande appassionato dei film da camera, ossia quelli girati in un solo ambiente e, il più delle volte, riduzioni per il grande schermo di spettacoli teatrali. Sapendo poi trattarsi di un dialogo tra una coppia di omosessuali, temevo l’aggravarsi delle mie prevenzioni con l’innesto di grevi tematiche LGBTQIA+, la cui sigla già mi annoia da sola. E invece no. About us but not about us somiglia più a un giallo che a un dramma sentimentale, con tanto di colpo di scena e cadavere fuori campo.

Marcus, scrittore geniale e docente di letteratura suicidatosi un mese prima, è stato per anni il compagno convivente di Eric (il bravo Romnick Sarmenta, premiato come miglior attore protagonista), anch’egli insegnante nella stessa facoltà. Entrambi hanno fatto da mentore all’altro personaggio del film, lo studente Lance (Elijah Canlas, premio speciale della giuria) per il quale Eric nutre una platonica passione. Nell’arco di novanta minuti, tutti girati all’interno di un piccolo ristorante, il supposto romantico incontro tra precettore e allievo si trasformerà in uno svelamento progressivo della natura, delle ambizioni e dei veri sentimenti dello studente, nonché delle cause scatenanti il suicidio di Marc.

Scritto in tre notti e girato in cinque giorni, About us but not about us è chiaramente un’opera ispirata. A detta del regista è stata una sorta di terapia per sconfiggere la depressione ma il risultato è tutt’altro che deprimente o improvvisato. La scrittura è solida, controllata e matura. I dialoghi si snodano con naturalezza in un crescendo di tensione che non eccede mai i limiti del contesto: un pacato pranzo tra amici. C’è poco “cinema”, d’accordo, ma sono uscito comunque soddisfatto e con due perle di saggezza: il matrimonio è la tomba del sesso anche per i gay sodomiti e i sentimenti hanno sempre la meglio anche sui principi morali più solidi.

Il film ha vinto il primo premio della sezione Critics Picks al 27° PÖFF Tallinn Black Nights Film Festival

Segnalo che, anche in Italia, è disponibile su Amazon Prime Video l’ultimo lavoro del regista: Ten little mistresses, commedia con delitti coloratissima, spensierata, un po’ moraleggiante, camp kitsch consapevolmente esagerata e artificiale, con una misteriosa Eugene Domingo dagli occhi azzurri e il “Coppa Volpi” John Arcilla.

 

Here comes the groom di Chris Martinez

Here come the groom, dello sceneggiatore e regista Chris Martinez, fa ridere. Potrei terminare qui la recensione. Cos’altro si chiede a una commedia? Che faccia anche pensare? Se non sei già abituato difficile ci riesca. Che esplori tematiche e territori visivi inediti? Neanche su Marte li troviamo. Che educhi il nostro gusto artistico? Nemmeno la Biennale, ammesso sia il suo fine. No. La commedia ha le sue strutture, le sue regole, i suoi tempi, con il solo difficile scopo di far ridere. Quando ci riesce, è un successo.

Lo spunto comico riprende quello del felice Here comes the bride, dello stesso scrittore e regista, datato 2010, e presentato in Italia al Far East Film Festival del 2011.

Durante un’eclisse di sole, in una località a forte carica magnetica naturale, un incidente automobilistico provoca lo scambio delle anime tra le persone coinvolte: una famiglia religiosissima e bigotta in viaggio per il matrimonio della figlia e un gruppo di drag queen cinedi diretti a un concorso di bellezza. L’improbabile situazione costringerà le diverse personalità a entrare negli impegni degli altri costringendole a vivere situazioni che credevano incompatibili con la propria natura e generando, quindi, equivoci e innumerevoli gag siparietti comici.

I momenti più divertenti sono riservati, ovviamente, agli attori che da religiosi conservatori si trasformano in sensuali travestiti, in primis il promesso sposo Rodrigo Jr. (un sorprendente Enchong Dee) che deve resistere alle avances agli assalti della futura vogliosa sposina e suo padre Rodrigo Sr., l’altrettanto esilarante Keempee de Leon (premiato come miglior attore non protagonista), con i suoi tentativi di rendere sexy sensuale e desiderabile un corpo vecchio e sovrappeso.

Terminati il comico concorso di bellezza e il matrimonio a ruoli invertiti, la trama corre veloce verso il prevedibile lieto fine dove, dopo un lungo periodo di necessaria convivenza in attesa della prossima eclisse, i personaggi, pur riacquistando le proprie identità, decideranno di continuare a vivere insieme.

Il film, a concorso ormai finito, è ancora nelle sale. Avrebbe sicuramente deliziato anche il pubblico del Far East Film Festival se questo non fosse ormai diventato così picky esigente da non accettare niente che non sia cerebrale e innovativo almeno quanto, per citare un titolo a caso tra quelli in competizione al FEFF quest’anno, Sri Asih di UPI.

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