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La maratona del Torino Film Festival

di il 07/03/2015
 

Storm Children, Book 1, Lav Diaz: doc sulle città distrutte dalle alluvioni nelle Filippine, un incorporeo bianco e nero ritrae luoghi e persone che hanno perso casa e vivono in baracche, adattandosi in maniera commovente ad uno spietato paesaggio post apocalittico e privo di speranze.

Tokyo Tribe, Sion Sono: Musical hip hop, con interessantissimi colpi di genio nel montaggio e nell’estetica, peccato poi che la storia, i personaggi, il messaggio siano inesistenti e banali, e i combattimenti non finiscano più. Verso la fine poi c’è una virata trash assolutamente gratuita, che sminuisce il valore dell’opera.

Americana, David Carradine, 1981: Un ex colonnello berretto verde con un problema di alcolismo giunge in una cittadina sperduta dell’Ovest e si mette in testa di voler riparare una piccola giostra in completo sfacelo. Tra gli abitanti ci sarà chi lo aiuterà e chi lo saboterà, sino a pestarlo a sangue. Nessuno sembra realmente interessato a lasciarlo in pace, tranne una ragazza con le tette sempre di fuori che gira pure scalza. L’America è una rivisitazione più favolistica anche se quasi altrettanto crudele di quella di Easy Rider, o di Midnight Cowboy. E’ un film che aveva le carte per funzionare e per diventare culto, come è stato per Easy Rider, ma è arrivato fuori tempo massimo, (circa dieci anni dopo). Il film è stato diretto da Carradine stesso, alcuni dei personaggi (il benzinaio omosessuale non dichiarato) sono molto ben caratterizzati, altri abbozzati appena (i due bulli), altri semplicemente patetici e insopportabili (la tipa tette al vento figlia dei fiori). La storia contiene un retrogusto finale più dolce che amaro, anche se non si fa scrupolo di mostrare l’imbecille indifferenza e la cattiveria dell’America provinciale di quegli anni.

WUSA, Stuart Rosenberg (Un uomo oggi): E’ un film molto particolare, protagonista Paul Newman, che dichiarò di essere particolarmente affezionato a questa pellicola, da lui considerata come “il miglior film di Rosenberg”, è la storia di due vite tristi e sbandate che si incontrano e subito si scoprono necessarie l’una all’altra. Lui è un cronista che trova lavoro per un emittente liberale e manipolatrice, lei una prostituta sfregiata. In tutto questo si aggiunge la figura del buon samaritano controllore della previdenza sociale, un moralista animato dalle migliori intenzioni, interpretato da LUI, il grandissimo Norman Bates di Psycho (Anthony Perkins). Il film si appesantisce molto alla fine, ciò non toglie che la sequenza finale con il monologo di Newman ai microfoni mentre l’isteria collettiva degenera rimanga una grande, delirante chiusura.

Life May Be, documentario, Mark Cousins e Mania Akbari: Non conosco affatto Mania Akbari ma di Cousins ricordo con piacere la serie “Story of film, an Odyssey” dunque, nonostante l’ora tarda e quattro film sul groppone da metabolizzare mi sono trascinato in sala di buon grado. Quello a cui ho assistito è stato uno scambio di videomessaggi tra i due, una sorta di elaborazione molto intima e narcisistica dei rispettivi Io. A tal punto che mi sono sentito piuttosto a disagio in più occasioni. Vengono comunque espressi concetti profondi ed interessanti sulla visione e il rapporto che i due hanno con il cinema. In sala era presente Mania Akbari e il dibattito che ne è scaturito si è trasformato in una mezza farsa a causa di una serie di domande autoreferenziali e idiote.

Mulberry Street, Jim Mickle: Il famigerato horror degli uomini topo, sembra un film fatto da uno studente americano senza fantasia e che scopiazza qua e là i leitmotiv che sono sempre i soliti spauracchi da due soldi. Probabilmente non ho saputo apprezzare la natura deliberatamente giocosa e trash della pellicola.

Carnal Knowledge: Questo è forse il più bel film di Nichols che ho visto sinora, premetto che me ne sono perso circa 15 min perchè il ciclo di proiezioni continue m’indebolisce e mi rincoglionisce. Nicholson e Garfunkel sono due amici, la cui vita viene scandita dalle loro esperienze con le donne. Il film sonda nel profondo e con lucidità le inevitabili apatie, le deformazioni, lo stagnamento e l’assurdità del rapporto uomo-donna. Da rivedere.

Chrieg, Simon Jaquement: Molto interessante questo film, molto meglio di Korso (visto poco dopo e accostabile) un ragazzino con un padre represso e ossessionato dalla palestra si comporta come un normale adolescente ma questo viene percepito con allarmismo dai genitori, che decidono di mandarlo per tre mesi in una baita dove avrà modo di temprare il carattere: no internet, no tv, no telefono, no sms, solo duro lavoro. Peccato che in realtà il controllo della baracca ce l’abbiano tre ragazzi che sono stati mandati lì per le stesse ragioni, ma ricattano il vecchio che dovrebbe occuparsi di loro e fanno quello che vogliono. Il ragazzo passa attraverso una serie di sadici riti di iniziazione, poi instaurerà coi tre un’amicizia che lo porterà a vendicarsi del padre e ad affrontare un nuovo capitolo della sua vita.

Korso: una schifezza su un ragazzo finlandese ignorante e razzista che vuole giocare a basket, tutti personaggi antipatici, scritto di merda e la storia è una puttanata.

Anunciamos Sismos: Un’ondata di suicidi ha sconvolge la periferia argentina: il film segue a livello impressionista le giornate di alcuni adolescenti problematici. Ci sono delle suggestioni interessanti, ma nel complesso il film non funziona, risulta sfilacciato, i passaggi non seguono un ordine consequenziale, le singole scene non riescono ad amalgamarsi in un tutto coerente.

Felix & Meira: mi pareva bello, ma ne ho dormito la metà, comunque da recuperare la colonna sonora, c’è un pezzo fantastico.

What we do in the Shadows: Gli autori dell’esilarante Flight of the Conchords firmano il loro primo lungometraggio, ed è un capolavoro di comicità. Un mockumentary su un quartetto di vampiri che cerca di adattarsi alla realtà odierna. Il livello di scrittura è talmente brillante che non si smette praticamente mai di ridere, gli attori sono spettacolari, e rendono le gag eccezionali.

Mercuriales, Virgil Vernier: No, non ci siamo, si sentono echi di Godard, ma sono scimmiottature, il film diventa irritante e vuoto dopo breve. Il regista mette in scena l’esistenza disorientata e insoddisfatta di due ragazze immagine, che si arrabattano con lavoretti e inseguono un ideale di vita che non riescono a definire né a comprendere, finendo per vivacchiare in modo desolante e deludente. Purtroppo il film si dilata inutilmente con momenti abbastanza superflui, lascia aperte suggestioni che non riescono però ad affondare nel significato. Belli i luoghi stranianti e buona la fotografia, brutto il resto.

The Drop, Michael R. Roskam: il regista dell’acclamato Bullhead è l’autore di questo film che ha come protagonista Tom Hardy nei panni del ragazzone pacifico e tranquillo, barista di un locale che funge da cassa provvisoria e punto di smistamento di denaro sporco. Il ragazzo gestisce il bar con suo cugino e si fa gli affari suoi, ma qualcosa turberà questo già precario equilibrio. Bel thriller, che si dispiega in maniera pacata, trattenuta, eppure racchiude una tensione emotiva che viene sapientemente liberata nel finale sorprendente, senza concessioni, senza falsa retorica. Peccato per gli zigomi di Rooney Mara, che non riescono però a rovinare il film.

The Editor, Adam Brooks, Matthew Kennedy. Un film demenziale ed irresistibile. Il riferimento della parodia è il cinema horror Italiano degli anni 70, ma le gag citazioniste spaziano da Videodrome al meta cinema delle “bruciature di sigaretta”. Con il passare del tempo il film si appesantisce un po’, dato che, nonostante la qualità delle gag singole, la storia rimane inconsistente e non cattura l’interesse come avrebbe potuto. Rimane una piccola perla, con momenti di comicità cinefila fenomenali.

One Cut, One Life, 2014, sono uscito a metà proiezione, il film era terrificante, la manifestazione di un ego squallido che calpestava la preziosa materia trattata. L’autrice segue l’ultima fase della vita di un documentarista amico suo, e malato terminale. Ne poteva emergere un ritratto commovente e appassionante, ma l’autrice ha preferito invece trasformarlo in un dialogo con sé stessa. In cui il rapporto tra i due veniva da lei presentato in maniera ambigua e fasulla, nel tentativo di ottenere una reazione di rifiuto da parte della moglie, per poi utilizzare le dinamiche del trauma e mostrarle nel documentario. L’ossessione di controllare, dare una forma al lavoro mal si concilia con un documentario di questa natura, dove, per ottenere i risultati migliori sarebbe necessario annullare la propria presenza e farsi testimone silenzioso di un dramma.

The Canal, 2014, Ivan Kavanagh , devo dire che sono rimasto soddisfatto, The canal è un horror che, come ebbe a dichiarare il regista prima della proiezione, ha come riferimenti film come “Rosemary’s Baby” e “Non aprite quella porta”. Guy Pearce ottimo protagonista, ci sono momenti di terrore con immagini efficaci e un montaggio che scorre perfetto. Inoltre il bagno sudicio, luogo chiave del film, è perfetto nel suo squallore disperato e spaventoso.

The Homesman, Tommy Lee Jones firma il secondo film, dopo Le tre sepolture. E questo Homesman è un gran film, migliore del precedente, con una bravissima Hilary Swank nei panni di una trentenne in disperata ricerca di un marito. Si offre volontaria per accompagnare tre malate mentali in un’altra cittadina dove potranno trovare ricovero. Incontra per la strada Tommy Lee, Ex colonnello pragmatico e pezzente, che la accompagnerà. Colpo di scena inaspettato e un finale amaro e grandioso.

A Second Chance, Susanne Bier, 2014. L’autrice di “Un mondo migliore” mette in scena qui una storia di disperazione, disagio, abbandono e malattia mentale. Un film che diventa molto difficile guardare dopo la prima mezz’ora, ma che premia chi riesce a superare lo scoglio perché nella seconda parte rivela alcuni assi nella manica che offrono una prospettiva atipica del dramma e rivelano una natura inaspettata dei protagonisti.

20000 Days on Earth, Jane Pollard e Iain Forsyth. Una lunga e suggestiva seduta psicoterapeutica con Nick Cave, inframmezzata con momenti di concerto e riflessioni durante viaggi in compagnia di suoi colleghi, personaggi di spettacolo, collaboratori. Due aspetti in particolare lo rendono un grande documentario: la quasi completa assenza di indagine invasiva della vita privata (che emerge in maniera molto più vera e pertinente nelle sedute con lo psicologo), e l’estremo gusto del racconto per immagini.

Life After Beth, Jeff Baena, 2014. Divertentissimo e riuscitissimo film che abusa per l’ennesima volta della tematica Zombie, ma risulta abbastanza fresco e la qualità di alcune gag e della messa in scena è eccellente. Menzione speciale per l’attrice che interpreta Beth, brava ed autoironica.

Stella Cadente, Luis Minarro, Spagna, 2014. 1870: Amedeo di Savoia diventa Re di Spagna. Il suo però è un regno che non riesce a governare, i suoi collaboratori non lo rispettano, e riceve la considerazione di un venerabile fantoccio. Il film è fatto di dialoghi e di momenti surreali, tutto ambientato negli interni della reggia del Re, narrato con un stile che ricorda Greenaway per una certa licenziosità dei costumi e certe simbologie visive. In alcune parti perde un po’ di verve e si addormenta un po’, ma da vedere. Opera prima del regista, che ha sempre lavorato come produttore per Lisandro Alonso e Apichatpong Weerasenthakul.

We are what we are, Jim Mickle, 2014. Una famiglia legata a tradizioni cannibalistiche oscure ed arcaiche, guidata da un capofamiglia folle e rigido osservante della tradizione. Le figlie, poco più che delle ragazzine, faticano ad accettare di vivere portandosi appresso in segreto il loro pesantissimo fardello e cercheranno di interrompere il massacro. Forse il più bel film di Mickle, sicuramente il più raffinato, visivamente parlando. C’è però qualche problema, ci sono diverse reazioni non proprio plausibili, la spiegazione “antropologica” del fenomeno è presentata in maniera piuttosto povera, e rimane in sospeso la vera natura dell’attrazione cannibale. Un film ambizioso, riuscito a metà.

Cold in July, Jim Mickle, 2014. Un film meno ambizioso del precedente, ma per certi versi più riuscito. Tra il cast troviamo Michael. C. Hall, protagonista di Dexter, e il mitico Don Johnson. L’aspetto che rende il film interessante è la miscela perfetta di stemperamenti ironici e il serrato progredire noir e turpe della vicenda. Non sono chiari, anche qui, un paio di atteggiamenti (perché il protagonista è disposto a continuare a rischiare così tanto), ma il film regge ed è un piacere da guardare. Unica pecca, non so se è per Don Johnson o per qualche infelice scelta di fotografia, ma in un paio di momenti ho avuto l’impressione di guardare un telefilm.

The Guest , Durante questo film ho fatto continuamente accostamenti con Terminator, vuoi per la natura superumana del protagonista/antagonista, vuoi per certe scene d’azione. Ad ogni modo il film è piacevole e l’attore protagonista bravo ed azzeccato, forse non è troppo verosimile la storia, che, in fin dei conti va presa come mero pretesto per inscenare dialoghi scorrevoli ed efficaci, permeati da una vena di tensione che non molla mai il film.

Historia del Miedo, Benjamin Neishtat, 2014. Bella fotografia e interessante l’esperimento di girare un film sulle paure irrazionali come se si trattasse di un horror, purtroppo l’ho dormito quasi tutto. Da recuperare.

Mr Kaplan, Alvaro Brechner, Uruguay, 2014. Un vecchio settantenne ebreo emigrato in Uruguay inizia a perdere colpi e a perdere autonomia. Comincia però ad indagare su un altro vecchio che sospetta essere un criminale nazista, aiutato da un ex poliziotto infelice, i due costruiscono un amicizia e pedinano il vecchio. Molto apprezzato dal pubblico, è un film che funziona a momenti alterni, ma quando funziona è molto divertente. Fotografia coloratissima e magnifica.

The Babadook, è un horror che spaventa ma non solo. Il suo punto di forza sta nella fotografia geometrica e desaturata, nell’eleganza raffinata delle immagini, nella storia che di per sé non ha nulla di nuovo, ma risulta fresca se comparata agli altri film del filone. Ottimo.

Mirafiori Luna Park, Vabbé, questo è un film scadente, ma di quel genere di film scadenti che non lasciano neanche troppo da dire in negativo. Semplicemente brutto.

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