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Venezia 71 – Belluscone, una storia siciliana di Franco Maresco

di il 17/09/2014
Mi PIACE

Cinico TV al naturale
Lo sguardo impietoso e amorevole del regista.
Il ritmo dettato dal montaggio

NON MI PIACE

La "cornice" di Sanguineti. Simpatica ma inutile.

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AFORISMA
 

"...e un caro saluto a tutti gli ospiti dello Stato".

 

Mi ha molto sorpreso leggere che la regista Chinlin Hsieh, autrice del bel documentario Flowers of Taipei – Taiwan New Cinema presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, sia una fan di Cinico TV. Piacevolmente sorpreso. Questo vuol dire che non siamo solo noi, topi occidentali da cineteca, a girare per il web (e per covi in cui si prova ancora terrore alla parola ‘dibattito’) cercando film, programmi, ectoplasmi capaci di dire qualcosa di nuovo, di farci divertire o emozionare.
Cinico TV fu, forse, l’ultima invenzione della televisione italiana a fare appello all’intelligenza dello spettatore. L’ultima a spingere, a spostare il confine del rappresentabile e del politicamente corretto verso lidi meno ipocriti e ristretti.
Dopo di lei, solo i ‘pacchi’ o ‘master chef’. Evviva.

Una volta separata, la coppia Ciprì – Maresco ha operato scelte diverse. Daniele Ciprì, l’esteta, ha fatto il direttore della fotografia, qua e là, e un filmetto, E’ stato il figlio, che non si è staccato dalla media delle neo commedie all’italiana in salsa meridionale. Franco Maresco, invece, ha ereditato tutta la carica eversiva del duo e con Belluscone, una storia siciliana, ha firmato un docufiction che, con le dovute proporzioni, sta ai precedenti lavori della coppia siciliana come il documentario Im keller di Ulrich Seidl sta alla propria fiction precedente: due maledetti capolavori maledetti.

La presenza di Berlusconi nel titolo, se può costituire un appeal per molti, è, in realtà, fuorviante. Quello che si racconta, attraverso l’espediente narrativo di mandare il simpatico Tatti Sanguineti in Sicilia sulle tracce del regista apparentemente scomparso, è, invece, il mondo dei “mostri” che avevamo imparato a conoscere a tarda notte su Rai Tre. Questa volta, però, è tutto vero. Protagonista assoluto è Ciccio Mira, impresario di cantanti neomelodici, simbolo e interprete vivente di un’umanità nata e cresciuta in una terra dove la mafia, che non si deve mai nominare, è una realtà potente e ineluttabile con la quale è impossibile non confrontarsi. Ecco, allora, che il palco della festa di paese si piazza vicino alle finestre della casa del boss locale, ecco che sullo stesso palco e nelle TV locali, Ciccio legge i messaggi cifrati degli ‘ospiti dello stato’ (così sono chiamati i mafiosi in carcere), ecco che, dopo averlo seguito nella sua attività quotidiana proprio come si seguono gli attori sullo schermo, leggiamo su giornali che è stato arrestato durante una retata per collusione con una nota “famiglia”. Ma il film non è solo un ritratto della ‘mafiosità’ di cui è intrisa la terra siciliana. E’ il racconto e lo specchio di un’epoca e un’umanità, la nostra, povera di spirito ma non certo vocata a ereditare il Regno dei Cieli. Una donna che spera di salvare Berlusconi pregando per le sue sventure giudiziarie; un cantante di piazza, eroe locale erede di Nino D’Angelo e Mario Merola, che si dichiara contro la violenza ma che non riesce a dire davanti ai microfoni di essere contro la mafia; un regista depresso e rassegnato ad essere un disadattato, un donchisciotte, in mezzo a persone in cui la coscienza, il senso del bene e del male viaggiano su binari totalmente arbitrari.

E poi Dell’Utri su poltrona regale, Renzi con giubbottino alla Fonzie da Amici, Ficarra e Picone improvvisati pacieri, e tanta, tanta gente come noi, Monsters without a cause, parafrasando Nicholas Ray. Si ride, di loro e ci si specchia in loro. Come ride di sé il regista, magari amaramente, nel ritrarre il proprio fallimento come inquisitore dell’ascesa siciliana dell’astro berlusconiano e nel confezionare, al suo posto, la sua opera più ricca e intensa, giustamente premiato con il Premio speciale della giuria per la sezione Orizzonti.

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