“Come si può catalogare la mia relazione nelle tre lettere di gay?” chiede Manoj Bajpayee nel ruolo del professore/poeta Ramchandra Siras in Aligarh.
Il docente universitario di lingua Marathi all’università musulmana di Aligarh (AMU) in Uttar Pradesh, l’8 febbraio 2010 viene assalito nella propria abitazione da due individui che, con la forza, lo filmano nell’intima compagnia del suo amante, un ragazzo, un guidatore di risciò.
L’immagine successiva che rappresenta un Manoj Bajpeyee tremante, rannicchiato, spogliato anche della sua dignità, apre di fatto il film.
Il giorno seguente, il professore, a pochi mesi dalla pensione, viene sospeso dall’università che si appella alla condotta immorale dell’atto e all’articolo 377 del codice penale indiano che citava:
Oltraggio alle leggi naturali (sigh!) – Chiunque volontariamente ha un rapporto carnale contro l’ordine naturale (sigh!), con qualunque uomo, donna o animale, dovrà essere punito con 10 anni di reclusione più una multa o (sigh!!!) il carcere a vita. La penetrazione è sufficiente per essere considerata un oltraggio descritto nell’articolo.
La vita di Ramachandra Siras viene sconvolta dalle proteste e dalla campagna d’odio, sia musulmana quanto hindù: gli viene data soltanto una settimana per lasciare la casa che occupava da una ventina d’anni, gli viene concessa l’elettricità per quattro ore (dalle 7 alle 11 am) e gli viene negata assistenza medica, al punto che si deve misurare la pressione da solo.
Per quanto il professore/poeta Marathi cerchi di ritornare alla normalità, scrivendo, su suggerimento di un servile collega, una vergognosa di lettera di scuse, la sua vita è ormai pubblica. Questo, però, gli fa anche ottenere il supporto della comunità LGBT, la componente progressista indiana, tra cui Anjali Gopalan e l’aiuto del reporter Deepu Sebastian (Rajkummar Rao) che da Delhi arriva ad Aligarh ed è l’unico che, durante l’infame conferenza stampa dell’università (un tempo progressista e rifugio di combattenti per la libertà), punta il dito contro chi ha violato i sacri confini domestici piuttosto che contro il docente e la sua sessualità. Tra il giornalista e il poeta nasce un rapporto al di fuori dell’inchiesta giornalistica che, sebbene parta con il piede sbagliato, si basa sul rispetto del giovane nei confronti di un Manoj Bajpeyee elegante, distinto, riservato come l’attore Irffan in The Lunchbox ma meno austero e, soprattutto, molto distante dalle sue perfomance del delinquentello in Sadya e lo stile sgargiante del gangster protagonista in Gangs of Wasseypur. Un Bajpeyee/Siras che si addormenta in aula, durante il processo per la revoca della sospensione della propria cattedra, perchè ha più interesse nella poesia che per la noiosa professione del padre avvocato.
Il processo contro l’AMU per la sua reintegrazione si basa sul fatto che l’articolo 377 del codice penale indiano è stato dichiarato incostituzionale nel 2009 dalla corte suprema di Delhi, dopo una battaglia legale, durata dieci anni, portata avanti dall’avvocato Anand Grover (Ashish Vidyarthi) che rappresenta il professor Siras. Ad Anand Grover, si contrappongono: Nita Greval (la brava Balaji Gauri che si fa odiare in Aligarh), avvocata dell’università e i quattro colleghi del protagonista che gli irrompono in casa dopo che i due uomini hanno terminato la registrazione video. Queste cinque persone, tra cui il vice rettore P.K. Abdul Aziz e il funzionario per le relazioni pubbliche della AMU, Rahat Abrar, che blaterano di “moralità”, rappresentano il male nel film. Individui che hanno tanto pelo nello stomaco da descrivere, dal banco dei testimoni, con dettagli morbosi e con feroce omofobia ciò che è successo in quella camera da letto che mai sarebbe dovuto esser violata, come dichiara la costituzione indiana.
Ovviamente, la causa è vinta da Grover/Siras poichè, appunto, l’articolo 377 è stato abrogato l’anno precedente (tornerà nel 2013, “grazie” al BJP per poi essere rimosso definitivamente nel 2018, tranne che nei casi di bestialità e contro minori) e la sera del primo aprile, Ramachandra Siras festeggia tra poeti e gente di cultura, in questa villa coloniale.
Mentre la comunità LGBT e la parte sana dell’India sta ancora festeggiando l’imminente rientro in cattedra del protagonista, purtroppo il film si conclude lasciando l’amaro in bocca poiché il professore/poeta viene trovato morto, per avvelenamento, nel suo appartamento il giorno prima del suo reintegro, fissato per il 7 aprile 2010.
Nonostante le indagini della polizia iniziate il 19 aprile 2010 che han coinvolto tre giornalisti e quattro autorità della AMU, gli accusati son stati in seguito assolti per mancanza di prove. Nessun agente è stato indagato, invece, per il brutale pestaggio dell’amante, il guidatore di risciò, che è dovuto sparire definitivamente dalla circolazione.
Mi è difficile valutare il lavoro di un regista nei film tratti da storie vere, ma indubbiamente Manoj Bajpeyee dà buona prova di sè nei panni di Ramachandra Siras e concordo con i premi che ha ottenuto nell’Asia Pacific Screen Awards del 2016 e il Filmfare Awards nel 2017. Meritevole è anche Balaji Gauri nel ruolo dell’odiosa avvocata che sebbene abbia una piccola parte regge meglio, a mio dire, di Rajkummar Rao che ha ottenuto due nomination (Filmfare Awards e International Indian Film Academy Awards nel 2017) come attore non protagonista in Aligarh. Mentre lo sceneggiatore è stato nominato per la migliore sceneggiatura allo Stardust Award For Best Screenplay nel 2016.