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I, Tonya di Craig Gillespie

di il 16/02/2018
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Il ciccio, bodyguard e mitomane: sbalorditivo. Delizioso

NON MI PIACE

L'accento non sempre costante dei personaggi, va e viene. Distrae

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IL MIO VOTO


AFORISMA
 

Che fascino ha mai avuto la verità?

 

Data: 6 gennaio 1994.

Daily News front page dated January 7, 1994

L’attacco si è svolto davanti alle telecamere. La pattinatrice Nancy Kerrigan, che si preparava a gareggiare con la squadra americana alle Olimpiadi d’inverno, viene colpita alle gambe da un uomo robusto che portava in mano un bastone telescopico. E’ passato inosservato davanti allo staff, ha raggiunto la principessa delle lame su ghiaccio e l’ha colpita sopra il ginocchio destro.

Si è buttata per terra. Urlava sconsolata “why me?”. Tutto davanti ai giornalisti. Meno di cinque giorni dopo, tutti i media avevano ricondotto l’incidente a colei che dopo diventerebbe la sua “rivale” Tonya Harding. E la soap ebbe inizio.


Mi chiedo dunque: avevamo bisogno dell’ennesimo biopic, in cui il cinema va alla scoraggiata redenzione della più nota villana della storia dello sport? Decisamente si. Almeno è l’unica risposta che mi sono dato dopo aver visto I, Tonya. Molto prima della sua incursione nel cinema per adulti, Tonya Harding teneva incollato il mondo allo schermo, dopo essersi cristallizzata nell’immaginario collettivo come colei che era capace di togliere qualsiasi intralcio alla sua carriera, vale a dire, assalire la propria compagna di squadra (appunto la fidanzatina d’America, Nancy Kerrigan). Neppure la Walt fucking Disney – per dirla alla Carlo Gambillo – si sarebbe mai sognata di concepire una storia di amicizia e rivalità così perversa (e lucrativa).

E va bene, restringo il campo: questa storia teneva incollato me alla tv. Non mangiavo e non dormivo. Tonya mi alimentava. Il Tonyagate mi ha aiutato a traghettare “l’evento – pietra miliare” della mia infanzia: il matrimonio di Lady D, fino “all’evento – pietra miliare” della mia età adulta: la morte di Lady D. Grazie Tonya, grazie Diana, per la mia dieta a base di scandali, glitter e camp.

Il regista (Craig Gillespie) vorrebbe comunque lasciare spazio a ogni ragionevole dubbio: è stata colpevole o no?. La colpa, semmai, ce l’ha quell’insensata della madre (imparagonabile Alison Janney, che ruba la scena e si diverte da morire ad interpretare LaVonna Fay), la colpa ce l’ha la povertà, l’assenza del padre, e infine, l’uomo sbagliato (Jeff Gillooly, anche qui un magistrale Sebastian Stan, e se qualcuno ha il suo numero di telefono me lo passi). La recitazione che però tiene in piedi questo film è quella di Margot Robbie, che ha fatto i suoi compiti impeccabilmente.

Chiunque ricordi Nicole Kidman (Suzanne Stone Maretto) in Da Morire di Gus Van Sant, oppure quella malfida ancora più carogna, Fanny Ardant nel film La femme d’à côté, capirà che queste donne non ci hanno reso facile il compito di odiarle. Stessa situazione con Margot/Tonya, la sua bravura e la sua disperazione sono incorniciate nell’abisso di quella vita di decisioni infauste.

Ronzava ancora nella mia mente la frase “Sono un giardiniere che vuole essere un fiore. Quanto sono fottuta?” quando, a fine proiezione mio fratello mi disse qualcosa del genere: “le persone alla disperata ricerca di amore finiscono per circondarsi di merda”. Ci penso ancora. Nel film la verità viene trattata parecchio male, che poi che fascino ha mai avuto la verità?

commenti
 
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  • ele.lo
    19/02/2018 at 20:10

    Semplice..perfetto..diretto..
    Nella ricerca del fascino della veritá c’é la voglia adesso di misurarsi con la visione del film e con le mille sfumature del super contorto universo femminile che sei riuscito a tracciare attraverso la presentazione dei personaggi!!!!

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  • Andreina Acero
    20/02/2018 at 3:50

    Greattt !!!!!

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  • Ricardo jaurrieta
    20/02/2018 at 10:48

    Buenisimo!!!☝

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