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#LotOfLove – Un ricordo cinematografico di Charles #Aznavour

di il 03/10/2018
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IL MIO VOTO


 

Un giorno leggi un articolo di come a 93 anni e mezzo faccia ancora alzare in piedi le platee di mezzo mondo con le sue canzoni e, dopo poche settimane, arriva la notizia che Charles Aznavour non c’è più. Per lui, che si augurava di “morire vivendo” è stata una bellissima fine, nel sonno, dopo un concerto in Giappone, dopo l’ennesima ovazione. Chissà se ogni volta che saliva sul palco si chiedeva se sarebbe stata l’ultima.
Ma per la Cricchetta avrebbe poco senso parlare di Aznavour come persona e come cantante, quando ci si potrebbe concentrare sulla sua carriera d’attore. Sì, perché Aznavour in tutto il suo metro e sessanta era un artista a 720 gradi ma questo lo possono spiegare molto meglio di me tutti i coccodrilli che adesso usciranno in giro e le pagine a lui dedicate.
In breve, vorrei dedicare questo ricordo ai due film le cui locandine Aznavour mi ha autografato qualche anno fa, quando gliele inviai per posta: Tirate sul pianista (Tirez sur le pianiste) di François Truffaut, 1961 e  …e poi non ne rimase nessuno (And then there were none) di Peter Collinson, 1974.
Il film di Truffaut è uno dei primi ruoli da vero protagonista del Nostro e, forse, il primo che gli ha procurato delle vere recensioni come attore slegato dal ruolo di cantante. È basato su un romanzo di David Goodis, scrittore noir americano tormentato e vicino a Raymond Chandler nei toni, che Truffaut ha sapientemente trasposto riadattandolo alla realtà francese.
Qui Aznavour può sfruttare a pieno la sua minuta fisicità per dare vita a questo personaggio piccolo di statura ma alto nel morale, coinvolto in una vicenda ben più grande di lui, in cui può mostrare anche le sue doti musicali.

Il secondo film, però, è quello che più mi ha invogliato a scrivere questa sera: tratto da Dieci piccoli indiani di Agatha Christie, si tratta della terza trasposizione cinematografica della sanguinosa vicenda dopo quella di René Clair del 1945 e una, già meno fortunata della prima, del 1966, ed è universalmente considerato come uno dei più brutti film mai fatti. Ed è proprio questo il bello.
Come anche nelle due versioni precedenti, anche qui il cast è formato da alcuni tra i più grandi caratteristi dell’epoca di varie nazionalità europee (Gert Frobe, ossia Goldfinger e l’onnipresente Herbert Lom, cioè la nemesi di Peter Sellers nei film della Pantera Rosa, tanto per citarne due), tutti caratteristi tranne Oliver Reed e Stéphane Audran, primadonna francese e protagonista di numerosi film di Chabrol (marito e poi ex), del Fascino discreto della borghesia e del Pranzo di Babette, entrambi questi ultimi vincitori dell’Oscar come Film Straniero. Infine c’è anche Richard Attenborough, che otto anni dopo avrebbe diretto Gandhi e quasi vent’anni dopo sarebbe stato il proprietario del primo Jurassic Park.
Tornando ad Aznavour, qui interpreta un personaggio che non è proprio identico a quello del libro originale ma lui riesce a non far sentire la mancanza di aderenza all’omologo letterario grazie alla sua cockiness (traducibile in italiano come “sprezzatura”?) e alla giacca azzurra damascata che solo lui poteva saper portare con eleganza.
Il film, in effetti, è una mezza schifezza, nonostante la bravura di tutti gli attori, colpa di una regia e di una sceneggiatura poco incisive e non in grado di rendere giustizia al capolavoro che è il romanzo: primo motivo fra tutti, forse, la scelta di un finale più lieto rispetto a quello letterario (ma fedele alla trasposizione teatrale curata dalla stessa Christie) che, però, non aveva rovinato più di tanto le due versioni precedenti che l’avevano altrettanto adottato.
Senza alcuna pretesa, ho solo voluto, come un faro, gettare due rapidi fasci di luce su due film (più il secondo in realtà) che altrimenti rischierebbero di finire nel dimenticatoio ma che devono comunque essere recuperati, se non altro per poter gustare con gli occhi la bravura di questo signore armeno-francese che ha anche zittito noi italiani osservando Com’è triste Venezia.