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#Venezia74 – La mostra ai tempi del new jersey, au revoir les enfants

di il 10/09/2017
 

 

Ho un’idea per una scena che probabilmente rivoluzionerà la storia del cinema e, siccome vi voglio bene, correrò il rischio che qualcuno me la rubi, piazzandola all’interno del suo prossimo lungometraggio. Interni. Camera da letto, illuminata appena da uno spiffero di luce che passa attraverso le persiane. Lei è distesa, occhi chiusi. Comincia a dare i primi segni di vita, stiracchiandosi pigramente e muovendo infine un braccio alla ricerca istintiva di lui, che immaginava ancora coricato accanto a lei. Lui non c’è. Lei ritrae il braccio. Si riaddormenta, non senza aver prima emesso un flebile peto. Dissolvenza.
Eh, che ne dite? Non è abbastanza per iniziare una frana che travolgerà ogni regola conosciuta del linguaggio della Settima Arte? Sì, perché di tutte le convenzioni che fanno ormai parte dell’ABC cinematografico universalmente accettato (tipo le lancette di quel cazzo di orologio da parete che da quasi cento anni suggerisce la scansione del tempo in thriller, commedie e musical porno) quella che riesce immancabilmente a mandarmi su tutte le furie è il braccino disteso sul letto alla ricerca del partner, segnale inequivocabile di un film spazzatura (guarda caso, in mother!tuttominuscoloeconilpuntoesclamativo! non poteva mancare). Segue immancabilmente il piano sequenza di lei che corre disperatamente per tutta la casa alla ricerca del tapino, che ovviamente non troverà. Da lì una serie inesorabile di sventure, che vanno dal suicidio, al rapimento da parte di alieni o all’invasione delle locuste. Ebbene, sappiatelo: se il vostro partner non è coricato accanto a voi, la statistica suggerisce queste risposte:
58% il vostro partner sta pisciando
32% il vostro partner sta bevendo un bicchier d’acqua
6% il vostro partner sta bevendo un bicchiere di Tavernello
4% il vostro partner sta digitando Sara Tommasi su youporn nel computer di studio.

 

Per anni Chabrol e Kitano sono stati per me sinonimo di mostra quanto la pizzetta e lo Spritz al Bitter, trasformatosi successivamente in Cynar. Dato che il vecchio Claude difficilmente potrà sedersi ancora dietro la macchina da presa, quando ho saputo che in Sala Volpi avrebbero dato una edizione restaurata di L’OEIL DU MALIN mi ci sono fiondato come un politico italiano su un appalto per la costruzione di una nuova autostrada. È uno dei film migliori del primo Chabrol, visualmente strabiliante, ricchissimo di citazioni hitchcockiane e contenente già tutti i temi più cari al suo cinema, dall’ipocrisia borghese al gioco di specchi delle apparenze. Il restauro ci restituisce un b&n sontuoso e una Stephane Audran da far girare la testa, una delle donne più affascinanti che abbiano mai messo piede su questo pianeta. Posso dare meno di 5? No…


Bello anche MEKTOUB, MY LOVE: CANTO UNO di Kechiche, regista che alterna film di grande spessore a prove molto più deboli. Ricordo ancora il fastidio fisico che mi provocò la visione di Vénus Noire, una delle cose più irritanti mai viste in un cinema. Questo film è un inno dionisiaco alla giovinezza, molto fisico, una prova corale in cui Kechiche riesce a scomparire per osservare in presa diretta le dinamiche relazionali in un gruppo di giovani in balia degli ormoni impazziti nell’estate della loro vita. Questa straordinaria complicità con il mondo giovanile ricorda molto Rohmer anche se lo stile è decisamente agli antipodi. Grande accoglienza in Sala Grande ma anche qualche reazione risentita per la presunta ostentazione maschilista di culi roteanti. E capisco che la mezzora finale nella discoteca possa lasciare qualche dubbio. Di sicuro misura e sintesi non sono farina del sacco di Kechiche. Voto 4
Restiamo in Francia con JUSQU’A LA GARDE di Xavier Legrand, family drama abbastanza coinvolgente incentrato sulla figura di un bambino – il bravissimo Thomas Gioria – conteso dai genitori appena separati. Il regista, al suo primo lungometraggio, gestisce bene la tensione lungo il corso del film ma sbraca un po’ nel finale, in una escalation di violenza che non appare interamente in sintonia con lo sviluppo dei personaggi fino a quel momento. Si lascia vedere tutto d’un fiato ma andava messo probabilmente in un’altra sezione. Interessante il doppio senso del titolo, che contiene uno spoiler mica da poco. Voto 3
Noi della Cricchetta siamo fortemente contrari all’abuso di minori ma assolutamente entusiasti di quello di alcolici così approfittiamo della pausa tra un film e l’altro per attentare alle scorte di vodka e Cynar del chioschetto. Oltre alle proprietà salutari del carciofo, già divinate illo tempore dal grande Calindri, recenti studi scientifici mettono in risalto le sua capacità di allargamento della percezione. Come si può leggere nei suoi celebri Artichoke Diaries, Aldous Huxley scrisse The Doors Of Perception sotto l’influsso del Cynar, che amava consumare on the rocks con un rametto di cerfoglio davanti al caminetto nella sua casa di Mulholland Highway.

Ed ho bisogno di tutta la forza del Cynar perché HANNAH del mitico Pallaoro stenderebbe uno stegosauro. Lentissimo, minimalista ed elegante, si regge interamente sulle spalle della divina Charlotte Rampling, che a settecento anni è ancora bellissima ed offre una performance assolutamente strepitosa nella parte di una vecchia che tenta di reagire in tutti i modi ad una vita che si sta sgretolando sotto i suoi occhi. Il film ha troppi fili lasciati scollegati ma merita un 3 per la sola presenza di Charlotte che riempie interamente lo schermo.
Con NAPADID SHODAN (Disappearance) ci facciamo un bel giretto gratis per gli ospedali di Tehran assieme ad una coppia di giovani che non riescono a superare un problema che in qualsiasi paese occidentale verrebbe risolto in pochi minuti. Il film è girato benissimo, gli attori sono bravi ma manca la forza di un Asghar Farhadi per rendere il racconto di valenza universale ed alla fine l’unica cosa che mi lascia è il sollievo di poter condurre uno stile di vita il più lontano possibile da ogni forma di religione. Voto 3.
Non mi soffermo su OUTRAGE CODA perché Kitano è stato uno dei miei grandi amori cinematografici e vederlo ridotto ormai ad una macchietta – è utile comunque ricordarsi che in Giappone è famoso soprattutto come comico televisivo – mi provoca solo dolore. Voto 2 solo per affetto ma ti prego, Beat, fermati qui…

TEMPORADA DE CAZA, esordio dell’argentina Natalia Garagiola, è un racconto di formazione ambientato in Patagonia. La storia è quanto di meno originale si possa immaginare ma è sviluppata molto bene e coinvolge lo spettatore. Del giovane protagonista Lautaro Bettoni sentiremo ancora parlare e, se il film fosse stato in concorso, avrebbe quasi sicuramente vinto il Premio Mastroianni. Voto 3,5.
Chiudo la mia personale Venezia 74 con PIAZZA VITTORIO di Abel Ferrara, preceduto da uno sconcertante corto IL SIGNOR ROTPETER (come fa ad essere proiettata alla mostra una cosa simile? La risposta credo di saperla). Piazza Vittorio è un documentario che sembra un po’ montato in fretta e furia ma comunque interessante nel fotografare l’umanità sghemba e colorata del quartiere più multietnico di Roma. Certo che dei quasi dieci minuti dedicati alle illuminate dichiarazioni di esponenti di Casa Pound non si sentiva esattamente il bisogno. Voto 2,5.
La mia mostra è finita, andiamo in pace. Tra poco inizierà la solita distribuzione ecumenica urbi et orbi dei premi, cercando di non scontentare nessuno. Io, il mio premio l’ho già assegnato…
And the Michael Caine Lookalike Award goes to:

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