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#Cannes2018 – ALOUETTE! ALOUETTE! REDENTOR SULLA CROISETTE! PT 3

di il 18/05/2018
 

Oggi sono uscito di casa alle sette di mattina con il preciso intento di mettermi in coda per un film italiano. Voglio innanzitutto rassicurare i familiari e la ristretta cerchia di amici che casualmente leggessero questa notizia: sto bene e nessuno mi sta costringendo a commettere atti contrari alla mia volontà. Credo di essere perfettamente lucido. Se nei prossimi mesi mi mettessi ad imparare gli accordi di chitarra delle canzoni di Biagio Antonacci o mi portassi una mano sul cuore durante l’esecuzione dell’inno di Mameli prima della partita della nazionale, vi autorizzo ad abbattermi come si farebbe con un puledro azzoppato.

Più lucido sicuramente di Alba Rohrwacher in Troppa Grazia di Gianni Zanasi. Alba parla con la Madonna, si dimena come una tarantolata davanti agli occhi sbigottiti degli invitati ad un ricevimento o sbraita verso interlocutori invisibili. Il film è una commedia elegante, leggera e piena di garbo, senza i peti, le tette sguainate e le miserie morali che caratterizzano la deriva della commedia italiana negli ultimi vent’anni.

Aleggia quel Realismo Magico padano romagnolo che in zona ha già avuto maestri illustri come Fellini o Avati. La Rohrwacher è magnetismo e rarefazione a braccetto, una sorta di Monica Vitti reloaded 2.0. Alla sessione di q&a alla fine del film, Gianni Zanasi, in seguito ad una domanda idiota sulla Madonna come fonte di ispirazione, ha replicato: “È la Madonna che si è ispirata a me, non viceversa” senza nessuna sbruffonaggine, provocando l’ilarità della platea. VOTO: 3,5 al film. 4 alla battuta.

 

The Pluto Moment di Ming Zhang racconta il viaggio salvifico di una piccola troupe cinematografica nelle foreste della Cina rurale più profonda.

Un regista affetto da blocco dello scrittore si allontana dalla città alla ricerca di ispirazione, accompagnato da un attore scemo, una produttrice ed una operatrice carina che ovviamente si è già trombato. Più che un viaggio filosofico e metacinematografico alla ricerca di sé stessi, si rivela una armata Brancaleone in salsa mandarina. Un patchwork raffazzonato di episodi che non sembra avere particolare significato nell’economia del film (esemplare la mezz’ora della contadinotta invaghita che segue di nascosto il regista sfigato). Spesso, durante la visione di pellicole provenienti dall’Estremo Oriente, mi rendo conto che la mia scarsa conoscenza della loro cultura e tradizioni comporta una mia comprensione limitata o distorta del materiale. Di sicuro non sono l’unico. Alla sessione di q&a alla fine della proiezione, un membro dell’audience, credendo di fare l’intervento più figo della storia, si è rivolto al regista dicendo che l’idea di trovare un protagonista così uguale ad Albert Camus era assolutamente geniale. L’espressione del regista mentre ascoltava queste parole è stato il vero Pluto Moment della serata. VOTO: 2

E per concludere in bellezza, in spiagión sulle sdraio del Cinéma de la Plage con Angelo Kurtz per la proiezione di una versione prodigiosamente restaurata di Vertigo. Che dire? Solo un suggerimento ai curatori della Treccani per una modifica della voce chic:

chic <šic> s.m. di origine francese che sta ad indicare proiezione serale di copia restaurata digitalmente di Vertigo con lo sfondo della Baia di Cannes. Sdraio e coperta griffata Festival de Cannes inclusi.

Vertigo di Hitchcock in spiaggia. Può esserci qualcosa di più stupendo?

Neanche mi ci metto a commentare Vertigo, sono mica Truffaut io! Io che mi ostinavo come uno scemo a cercare la tomba di Carlotta Valdes nel piccolo cimitero di Mission Dolores la prima volta che sono stato a San Francisco. Mi chiedo solo, in questa epoca di #MeToo, come nessuno abbia ancora pensato di attaccare il povero Alfred perché Vertigo è obiettivamente uno dei film più misogini della storia del cinema.

Improvvisamente James Stewart nel campanile si blocca a mezz’aria, l’immagine sfuma, dalla baia partono le note di Star Wars Theme ed inizia uno show di fuochi d’artificio che finirà per durare quasi mezz’ora. Io, veneziano che odia con intensità la festa del Redentore e non è mai andato oltre il primo episodio della saga, mi sono commosso. VOTO: Al film, dai non scherziamo. Alla coreografia: 5+

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