Gli otto protagonisti si ritrovano e sembra di assistere alla coreografia di una danza
Un’ambientazione e una trama che ricordano moltissimo L’angelo sterminatore di Bunuel per un film in cui Fassbinder ritrae ancora un volta una borghesia decadente e dissoluta che, nonostante ciò, si aggrappa all’idea che ha di sè stessa e al ricordo di ciò che e’ stata, confortata dagli agi della ricchezza, ma incapace ormai di manifestare amore e rispetto. Anche se vengono evocati continuamente dalla parola.
La parte più riuscita è la scena in cui gli otto protagonisti si ritrovano nel salone dove giocano a roulette cinese: sembra quasi la coreografia di una danza, gli attori si sovrappongono, si avvicinano, si toccano, si guardano. Evidenziano l’impossibilità personale di rappresentare un ruolo specifico: le relazioni personali si infittiscono, creano confusione. Una stanza che diventa il palco di una recita teatrale condotta dalla bambina storpia, il mostro, come la definisce la madre. Una Bambina che rappresenta la cattiveria assoluta.
Talvolta i dialoghi risultano vagamente stucchevoli e troppo intellettuali, quasi sterili, ma per essere un film che ha 40 anni resta di una modernità assoluta e Fassbinder rimane sempore uno dei miei registi preferiti.