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#Venezia78 – Sokea mies, joka ei halunnut nähdä titanicia (il cieco che non voleva vedere titanic) di Teemu Nikki

di il 09/09/2021
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E cosi, dopo aver immolato la mattinata a quel blando fumettone ad uso e consumo locale, disintegrato dal dialetto e dalle infime prove d’attore di Freaks Out, decido di tirarmi su il morale con una commedia, di fatto una rarità alla Mostra del cinema.

Il cieco che non voleva vedere titanic, già il titolo mi diverte. Aggiungiamo che è un film finlandese, che su al nord i rigidi inverni non invogliano certo la risata e la curiosità è bella che salita alle stelle. Suona insomma come una gemma rara.

Avete mai provato a chiedere a un finlandese: “Com’è da voi in inverno”?
Non lo consiglio.

Mi fulmina per un attimo un dubbio sulla non certo comprovata o diffusa comicità finlandese, smetto di camminare e stringo il cellulare nel pugno, ma Google sa e conferma, rasserenandomi all’istante:

Mi accorgo cosi che, il film, sembra anche avere una delle doti più apprezzate dai festivalieri: la brevità. In 88 minuti chiunque può tranquillamente dire tutto quello che deve dire ma pochi registi illuminati lo capiscono. È nota la crociata storica della Cricchetta sul porre come limite massimo per i film i 90 minuti. Sicuri di avere il dio del cinema dalla nostra parte, mettiamo la mano calda e pruriginosa sulla spalla degli stoici perditempo che arriverebbero ai 120′ (oltre è malattia mentale) tranquillizzandoli con una certezza: la limitazione stimola la creatività costringendo l’essere umano a rinnovarsi, adottando soluzioni nuove, artistiche e interessanti. La vodka annacquata non piace a nessuno.

Entro in sala giardino, sempre bellissima nel suo rosso vivo e sempre scomodissima coi suoi sedili microscopici disposti perfettamente in modo da garantire sempre lo stesso risultato: avere la testa di quello di fronte sistematicamente davanti ai sottotitoli. Non serve a niente contorcersi o sporgere il capo, quella testa sarà sempre li, come un enorme totem primordiale. C’è solo da sperare che almeno non abbia la forfora, i capelli canuti o sparuti, ma troppo spesso ci si deve accontentare. Quella nuca è comunque una sicurezza in un mondo che ne ha così poche. Think positive.

Dopo i primi dieci minuti in cui viene inquadrata la faccia del protagonista in primissimo piano mentre telefona ad una amica, mi viene qualche dubbio sul senso dell’umorismo dei finlandesi. Sento un crampo al cervello. Penso che magari è solo il modo nordico per montare una gag pronta ad esplodere nel giro di qualche minuto. Il tempo scorre e c’è sempre la gigantesca faccia in primo piano.

Temo sia ora di spiegare cosa intendono i finlandesi per commedia, attraverso la narrazione dei primi 5 minuti di proiezione, evitando di spoilerare i colpi di scena:

un malato di sclerosi multipla già paralitico sta diventando anche completamente cieco. S’innamora on-line di una malata terminale di tumore, sua unica alternativa al suicidio. Uno spasso insomma. Viene quotidianamente deriso dai vicini di casa che bisbigliano insulti dietro pareti troppo sottili. Un giorno decide di andare a trovare la sua amata uscendo di casa per la prima volta dopo anni. Da li in poi al dramma si aggiunge la tragedia.

Come direbbe il mio amico: “Ah! L’umorismo finlandese”.

Un’ora e mezza di quella faccia, niente altro, sempre solo la faccia, quella faccia, in primissimo piano. Tutto il resto del mondo son colori sfocati.
È dopo aver messo da parte le aspettative di leggerezza che lo spettatore si accorge quanto bene sia usato l’alfabeto cinematografico: come altro esprimere a schermo la solitudine di un cieco che ha solo sé stesso come unica immagine in un mondo che tremola anche ad un solo metro da lui, dove ogni passo è una sfida, una scoperta e un’avventura?
Bella idea.
Ogni altro personaggio è un’ombra fuoricampo, a volte spaventosa a volte rassicurante, ma sempre impalpabile.

Noia? No, il miracolo del film in realtà è proprio questo: alle due del pomeriggio, dopo pranzo, non ho chiuso occhio. Fatico a comprenderne però il motivo, la scrittura? I riferimenti da nerd? La sorpresa? La delusione? L’ansia che il film è sicuramente in grado di trasmettere?

Un plauso al regista per essersi svicolato dal solito cliché pietista, trasformando i limiti del protagonista in opportunità creative sfornando scene originali in un mondo, quello della disabilità, normalmente sfruttato solo come mediocrità educativa da puerili insegnanti/moralizzatori di infima categoria.

Un plauso all’attore principale, realmente malato grave. Per capirci, ora, a pochi mesi dalla chiusura del film, ha perso anche l’uso di un braccio: grande coraggio e grande sogno realizzato.

Un plauso alla canzone dei titoli di coda, scritti rigorosamente in alfabeto Braille.

Riassumendo, visto come un bel Poverty-Handicap-Thriller è assolutamente #Consigliato!

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