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#Venezia75 – Recensioni, digestioni e lezioni d’amore della Mostra Internazionale d’Arte cinematografica, parte 4

di il 10/09/2018
 

Devo concentrarmi bene per capire cosa mi è rimasto appeso alle pareti dello stomaco di una trentina di film ingurgitati in dieci giorni, come uno di quei beveroni iperproteici che ti dà l’illusione di non aver bisogno di altro tipo di nutrimento. Di sicuro il piatto della Mostra è stato pieno e variegato, con quella giusta dose di abbondanza che rende difficoltoso l’alzarsi da tavola ma che lusinga il palato con gusti nuovi che, una volta assimilati, non tarderanno a stuzzicare nuovamente l’appetito.
Liquirizia pura e fermenti lattici mi hanno aiutato nella digestione di questo satura lanx cinematografico, resa difficile dal ritmo serrato delle proiezioni che ha mi ha impedito di trovare il tempo per fare lunghe passeggiatine sul molo, alla Montalbano. Sono sicura che l’introspezione sia stata inventata come rimedio alla dispepsia, seguita dall’espulsione di ciò che si è trovato dentro: per questo motivo, e non per tediarvi, sono qui a condividere il referto della mia prima gastroscopia a Mostra conclusa.

EL PEPE, UNA VIDA SUPREMA di Emir Kusturica era un appuntamento che aspettavo con la punta d’emozione che si prova quando si rivede qualcuno che ci ha fatto innamorare. Mi sistemo davanti allo schermo con in testa le immagini di realismo magico e cruda tenerezza che questo figlio dei Balcani mi ha regalato nei suoi film e, con grande entusiasmo di tutti gli spettatori, ricevo la bellissima sorpresa dalla sua presenza in sala. Accanto a lui Josè Mujica, o più semplicemente Pepe, importante figura politica dell’Uruguay e nonno di tutti gli abitanti del paese, interprete di se stesso nel documentario che ripercorre la sua vita. Genuinità, spirito di servizio e fedeltà agli ideali sono termini che oggi sembrano usciti dal dizionario della politica, potendo al massimo essere usati per descriverla per negazione. Eppure, questo bianco ottantenne che sorseggia il suo mate e coltiva fiori di campo riesce ancora una volta, come se avessi tre anni e fossi seduta sulle sue ginocchia, a farmi credere che non tutto è corrotto. Certo, dell’amaro da trangugiare c’è sempre, ma basta imparare a sputarlo via, come si fa con il primo sorso di mate. Critica al capitalismo e politica della sobrietà sono stati i cardini della sua attività politica o meglio, per usare una parola che mi smuove sempre la coscienza, della sua militanza. Kusturica è in grado di raccogliere i suoi ricordi e pensieri come fosse un amico di lunga data, senza aggiungere nient’altro che qualche risata, non si capisce bene se solo divertita o anche complice. Non secondaria la presenza della moglie Lucia Topolansky, compagna di battaglie e di vita: nella grande instabilità della storia collettiva e personale, “l’amore è un rifugio”, confessa el Pepe.

THE MAN WHO SURPRISED EVERYONE di Natasha Merkulova e Aleksey Chupov ci avverte che sfidare la morte ha sempre un prezzo. Quasi come il soldato che per fuggire alla Nera Signora galoppa in fretta fino a Samarcanda, il guardaboschi siberiano Egor decide di mancare all’appuntamento inevitabile, escogitando un tranello ispirato al racconto di una fattucchiera. Il rispettabile padre di famiglia, conosciuto da tutti nel piccolo villaggio russo, in attesa del secondo figlio e dell’evoluzione estrema del cancro che gli sta mangiando il cervello, decide di spogliarsi della sua vita passata e di indossare un vestito attillato, tacchi atti e rossetto. Questa scelta di ribellione finisce per scuotere gli animi ben più della sua malattia e tutti, dal figlioletto devoto ai selvaggi bracconieri, si sentono in dovere di manifestare il proprio disgusto, se non un vero e proprio odio. Una storia di morte che si trasforma, come il protagonista, in una storia di profondo isolamento. Di raro pregio le scene in cui Egor sfila silenzioso attraverso i luoghi della sua quotidianità, senza aggiungere una parola di spiegazione all’evidenza della sua immagine, quasi a chiedere a chi con insistenza lo supplicava di curarsi e vivere, se ora invece non lo preferisse già morto. Meritevolmente premiata nella sezione Orizzonti l’interpretazione di Natalya Kudryashova, moglie di Egor nel film: ci fa vivere l’amore come riconoscimento.


Legato al fil rouge dell’identità di genere, ma di netta superiorità artistica, il classico M. BUTTERFLY di David Cronenberg mi tiene incollata sulla sedia spiegandomi cos’è un film riuscito. La proiezione è preceduta dalla cerimonia di premiazione alla carriera del regista, e il fotogramma reale dell’abbraccio tra quel genio scheletrico e il bambinone che non ha mai smesso di ingozzarsi di plum cakes, occasionalmente (tra)vestito da presidente della Giuria della Mostra (aka Guillermo del Toro), la custodirò per sempre nel cassetto “emozioni” legate a questo evento. Mancandomi il coraggio di commentare il film, il mio stomaco si fa cassa di risonanza del messaggio che si è fatto strada forte e chiaro dalla vecchia pellicola. Il canto di M. Butterfly ci rivela che non si può amare senza sbagliare: “Il mio errore è stato semplice e assoluto”, l’amore non è niente di meno che un errore geniale.

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