HAPPY TOGETHER di Marie De Hert ed Ellen Pollard. Anni ed anni di serate passate davanti alla Brainwashing Machine più popolare, nota anche come televisione, possono nuocere anche agli ambienti più protetti. Infatti, in una casa isolata di in un villaggio delle Fiandre l’anziano Maurits trascorre le sue giornate a dipingere soldatini da collezione, gustare tramezzini al pollo ed a odiare i ne*ri. Un giorno però uno di questi deprecati immigrati gli finisce sotto le ruote, scatenando gli istinti di maternità (ed indicibili fantasie) delle sue due sorelle canute, le quali cominciano ad accudire l’ospite indesiderato come si fa con una tortorella caduta dal nido. Prevedibilmente, la convivenza forzata porterà il vecchio a mettere in discussione il suo rancore. Le registe, avvezze allo stile documentaristico, compongono un carezzevole ritratto familiare con immagini limpide e studiate. Riescono a scherzare sulla senilità, pur calcando un po’ la mano sui buoni sentimenti. Visti i tempi che corrono, le perdono. – “Il corto ha vinto il Premio per il Miglior Cortometraggio, per la capacità di rappresentare con grande sensibilità tematiche delicate quali la solitudine e la paura dello straniero, offrendo un quadro d’insieme che emoziona e fa riflettere sull’inutilità del pregiudizio.”
ALLA LUCE DEL SOLE di Francesco Pascucci risveglia lo spettatore dall’atmosfera da favola creata in sala con il primo corto, causando un trauma narrativo. La crudezza dello sfruttamento della prostituzione è raccontata tramite l’allegoria disturbante che vede gli uomini-cani selezionare le proprie prede con annusate e rantoli animaleschi. Un’idea che funziona, ma che viene abbandonata nelle successive due scene del corto dove si vuole lasciar spazio ad uno spiraglio di umanità. Vista la breve durata del video, l’avrei coltivata sino alla fine.
100% PUR PORC di Emilie Janin è il corto che ho preferito. Racconta la storia di Blandine, operaia alla catena di produzione di un salumificio cui dedica corpo ed anima. Per resistere alla spersonalizzazione insita nei ritmi di produzione seriale di salsicce, la rotondeggiante protagonista si rifugia in spazi onirici e bizzarrie artistiche, circondandosi di insaccati antropomorfi che sembrano essere la sua unica, ma allegra, compagnia. Questo suo insano equilibrio viene spezzato quando il capo, sintetizzato in una silhouette minacciosa, le impone un repentino incremento di produttività. Non accettando l’erosione dei suoi spazi di evasione, Blandine escogita una vendetta nel suo stile, creativo e non del tutto innocuo, che ripristina l’armonia nel suo mondo. Il corto diverte nel mescolare i vari registri, dalla meticolosa illustrazione dei vari passaggi che servono ad ottenere le gustose prelibatezze con cui banchettare o decorare la casa, alla poesia dei meravigliosi paesaggi fioriti in cui la salsicciara conduce la sua esistenza parallela, sino all’esilarante finale splatter, severo ma giusto. Questa mescolanza ben amalgamata, come la carne tritata di maiale dentro alle budella contenitive, conferisce al film un senso di compiutezza che riempie egregiamente i 17 minuti di proiezione. Durante il Q&A la regista ci informa del fatto che, più che reperire i fondi, era risultato difficile trovare uno stabilimento che concedesse gli spazi per girare il corto. Infatti, molti dei proprietari interpellati temevano che l’intento fosse quello di produrre un documentario-denuncia sulla macellazione industriale. Come parlare di salsicce nel 2019? Solo la fiction vince sulla lobby animalista, veg, vegan e Greta-friendly.
INANIMATE di Lucia Bulgheroni è un corto di animazione (o quasi: apprendo che sono usate le tecniche di live action/pixilation) che inquieta in modo efficace. La storia di Katrine che comincia a percepire se stessa e la realtà circostante da una prospettiva esterna, diventando cosciente del suo essere burattina, cattura con precisione i momenti di angoscia che si vivono indagando al di fuori del proprio essere qui ed ora. L’esplorazione del proprio subconscio non viene presentata come un’esperienza allettante, insomma se dovessi scegliere come meta di viaggio tra Amsterdam e la mia intimità, nonostante i prezzacci, sceglierei ancora la prima. Comunque, non si capisce se il corto sia un invito alla meditazione o ci voglia aprire gli occhi sul fatto che prima o poi tocca a tutti, di sentirsi estranei nell’involucro che ci contiene e anche in quello più grande che contiene l’involucro. Qualunque sia l’intento, paure ed ansie della mente sono convogliate in modo sintetico e tangibile, chapeau!
CAFÈSIGARET di Agostino Devastato ci proietta nell’atmosfera torbida di un bar napoletano dove, a distanza di vent’anni, due uomini si incontrano per una resa dei conti inaspettata. Colpisce lo stile kafkiano con cui uno dei due ex amici, dapprima reticente, viene condotto a snocciolare i propri ricordi su un evento del passato che sembra aver inciso nel loro rapporto, senza potervi fuggire. L’andamento del racconto mi ha fatto pensare a “Le Braci”, di Sándor Márai. Forse, come avviene nel romanzo, sarebbe stato preferibile sorvolare sulla narrazione esplicita del fatto di gioventù cui l’intero dialogo tende, lasciando il tutto avvolto nel fumo di sigaretta appesantito dal silenzio, quest’ultimo vero protagonista del corto.