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#IFFR2022 – Il Festival visto ancora dal divano – Parte prima

di il 31/01/2022
 

NOCHE DE FUEGO di Tatiana Huezo (voto 3,5/5)

Da principio questo film potrebbe sembrare un poverty porn sudamericano, ma poco dopo ci si accorge che è la mano della regista esperta di documentari a dare questa impressione: un’istantanea molto amara della vita nei paesini attorno al confine del Messico, dove i signori dei cartelli sono plenipotenziari, tanto da poter passare casa per casa per raccogliere giovanissime ragazze per rimpolpare il mercato della prostituzione (tanto che tutte le ragazze del paese devono portare i capelli cortissimi per sembrare dei maschi)..
Anna e le sue amiche vengono seguite da bambine prima e adolescenti poi (con cambio di attrici) nella vita di tutti i giorni, vita fatta di timor continui, povertà e primi amori.
Le immagini sono splendide (su tutte quella della collina con tutti i paesani col cellulare verso l’alto per trovare linea), tanto che all’inizio pensavo fossero esageratamente belle rispetto alla situazione che si stava raccontando, ma poi, col procedere del film, le ho trovate sempre più calzanti.
Il grande limite della pellicola è purtroppo la quasi totale assenza di una sceneggiatura; evidentemente la regista, più documentarista che altro, pensava fosse sufficiente la narrazione delle immagini, ma queste non sono sufficienti a supportare l’intera storia: completamente assente la personalizzazione dei cattivi, vengono costantemente indicati, senza però alcun approfondimento sui personaggi, affidandosi in maniera totale a ciò che lo spettatore presumerà.

 

LIFE OF CRIME 1984-2020 di Jon Alpert (voto 4,5/5)

Inizio col dire che non riesco mai ad essere imparziale quando mi trovo davanti a questo tipo di progetti enormi che abbisognano di una pazienza e una perseveranza incredibili.
Seguire la vita di tre persone per più di 30 anni è già di per sé un progetto monumentale, riuscire a farne un film di normale lunghezza e avvincente, è quasi un miracolo.
Rob Freddie e Deliris sono tre tossici fin da giovanissimi, le loro vite sono intersecate (amicizia, amore,relazione) e parecchio movimentate.
Il regista segue l’evolversi della loro personali vicissitudini che hanno un iter quasi identico: dipendenza, carcere, disintossicazione, ricaduta nella droga. Figli abbandonati a loro stessi, relazioni complicate.
Anche se le immagini sono talvolta pessime, anche se conosciamo bene i rituali dei tossici, il montaggio del regista riesce a rendere quasi epico l’avanzare della vita dei tre protagonisti, che anche se sono davvero pessimi nelle loro abitudini e nei loro atteggiamenti, riescono a generare simpatia e anche a smuovere compassione.
Alpert non dà mai giudizi nelle immagini che propone, si limita a riprendere eventi della vita dei tra senza che ci siano anche condanne morali, anche quando li segue nei furti nei negozi o mentre si iniettano eroina.
Bella (e coraggiosa) la scelta di far vedere come siano finite le tre storie, anche se parecchio un pugno allo stomaco.

 

YAMABUKI di Yamasaki Juichiro (voto 2/5)

Film molto poco riuscito sulla sorte e sulla sua imprevedibilità.
Personaggi che interagiscono all’interno della sceneggiatura da un caso molto approssimativo, legami tra di loro creati senza un po’ di empatia e originalità.
Tutto risulta molto noioso, molto prevedibile: la figlia senza la madre timida ma ribelle, il poliziotto che non riesce a gestirla, l’emigrato sfortunato a cui non viene confermato il contratto a tempo indeterminato dopo che fa un incidente.
Inconcludente.

 

MI VACIO Y IO di Adrian Silvestre (voto 3/5)

Raphaelle è una trans francese che vive a Barcellona e che lavoro in un call center.
La maggior parte del suo tempo lo passa alla ricerca di un amore e a partecipare a gruppi di discussioni sul cambio di sesso, cosa che la convince poco.
Viene contattata da un regista teatrale che le propone di raccontare la sua vita in un monologo sul palcoscenico (piuttosto bello).
Succede quindi che quello che per cui si lamenta, cioè di essere da tutti vista sempre e solo come trans è anche il viatico per farle avere successo e sentirsi accettata.
Piuttosto originale la figura della transessuale che cerca il principe azzurro dopo esser stati per tanti anni abituati a vedere al cinema figure ciniche e legate ad un mondo sotterraneo.
C’è parecchia militanza, talvolta raffazzonata, ma anche tanto candore.
Brava la protagonista.

CLARA SOLA di Nathalie Alvarez Mesen (voto 4/5)

Bel ritratto di una donna davvero particolare, a metà strada tra l’autismo e la santità, sguardo intenso ed indagatore, Clara ha certamente dei problemi relazionali, ma tenuta in gran considerazione dalla gente per delle sue non ben specificate capacità curative; del resto l’ambiente in cui viene cresciuta è fatto di religione assai confinante con la superstizione.
La regista non tralascia però di descrivere le pulsioni sessuali di Clara, che sono spontanee ed ingenue, ma assai frequenti. Quindi accanto all’amore per animali c’è la grande passione per la masturbazione che la madre punisce mettendole le dita nel peperoncino.
L’arrivo di Santiago nella fattoria provoca un piccolo terremoto nelle abitudini di Clara e tutta la famiglia, fino ad un finale tragico, ma salvifico.
Stupenda l’immagine di Clara che si tocca intimamente nel mezzo della foresta con le lucciole che la attorniano.

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