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#IFFR2022 – Il Festival di Rotterdam visto ancora dal divano, parte seconda

di il 06/02/2022
 

Si, d’accordo, in questo momento vorrei essere a Rotterdam anziché spalmato sul divano.
Certamente da principio, quando si hanno tutti i film a portata di telecomando, pare una festa senza fine: possibilità innumerevoli di scoprire storie meravigliose. Dopo qualche giorno però, si ripropone la nostalgia del cinema, per quanto adesso significhi mascherina, attese, ritardi e complicazioni. Nonostante il futuro sia sempre più indirizzato verso la visione online (Netflix, Amazon, Mubi), per quanto questo sia sinonimo di comodità e vastità di occasioni, continuo a preferire la visione diretta in una sala, dove si può essere inglobatoi dallo schermo, senza alcuna distrazione.

WELA (ANATOMY OF TIME) di Jakrawal Nilthamrong (voto 4/5)
Complicato film del regista del bellissimo Manta Ray, visto a Venezia qualche anno fa. La storia si svolge in Thailandia in diverse fasi temporali e con alterne situazioni politiche.
Protagonista è Naem, in giovinezza contesa tra due amori e poi donna fedele, quasi infermiera, di un capo politico caduto in disgrazia dopo aver avuto un passato glorioso. Oltre alla vicenda individuale, il regista fotografa anche un’istantanea della Thailandia che, a differenza dei paesi confinanti, non ha mai ceduto a regimi totalitari di natura occidentale.
La differenza tra la gioventù della protagonista e la sua età matura viene sottolineata dalle immagini: verde lussureggiante delle foreste caratterizza la prima, una stanza olezzante e claustrofobica la seconda.
Il tempo è protagonista assoluto del film, il tempo come storia, il tempo di una vita, il tempo scandito dagli orologi che Naem vede fin da bambina nel negozio del padre. Tutti questi tempi vengono scanditi dalla bellezza delle immagini, che non sembrano fine a loro stesse, ma inglobate al racconto.
Il montaggio delle diverse sfere temporali è davvero complesso e considero questa l’unica debolezza del film: non supportato da una sceneggiatura comprensibile, rende la visione (e l’interpretazione) assai ardua.

BENEDICTION di Terence Davies (voto 3,5/5)
Avevo visto (e apprezzato) A Quiet Passion, film che il regista aveva girato qualche anno fa sulla vita di Emily Dickinson, quindi ho trovato da principio piuttosto strana la scelta di fare un altro film su un poeta, questa volta Siegfrid Sassoon.
Ci sono delle analogie tra i due film (il far narrare alcuna delle poesie dagli attori principali, cosa che ho detestato in entrambe le occasioni), ma molte anche le differenze.
Una manierismo quasi esasperato ricorda moltissimo Ivory, anche se una certa ironia lo differenzia.
L’omosessualità del protagonista è trattata in maniera piuttosto stereotipata, ma divertenti sono certi siparietti sugli scandali dell’epoca (siamo attorno gli Anni Venti), con personaggi secondari che sfiorano la macchietta.
Molto più interessante il rapporto del poeta con la Prima Guerra Mondiale, in cui ha combattuto, ricavandone un esaurimento e una apatia politica verso gli sconti e le gerarchie militari. Turbato dalla morta del fratello sul campo, si interroga senza sosta sul significato del combattere battaglie che non ci appartengono, fino ad arrivare a proteste scritte su giornali che gli procurano non pochi problemi che danno al poeta un perenne senso di fallimento che pervade l’intera durata della pellicola.
Irriconoscibile Julian Sands nei panni dello psicologo della casa di cura per soldati depressi.

BROADWAY di Christo Massalas (voto 2/5)
In una Atene underground (e devastata dalla crisi economica), un gruppo di derelitti che vive in uno stabile disabitato che chiamano Broadway, cerca di sopravvivere mettendo in atto qualche furto o poco più, dividendo il poco che riescono a rubare e sognando un colpo grosso che permetta loro di cambiare esistenza.
A loro si uniscono Nelly, una ballerina di lap dance e Jonas, un fuggitivo, che per non farsi riconoscere da chi lo cerca, veste abiti femminili, prende il nome di Barbara ed inizia una relazione sessuale con la ballerina stessa.
Vicende non chiarissime, una tendenza alla stravaganza piuttosto datata, questo film non appartiene certamente al filone del nuovo cinema greco, asettico e concettuale, anzi spesse volte mi ha ricordato un’ambientazione spagnola.
Non mi è proprio piaciuto, poco chiaro e pesante nel suo svolgimento, l’unica cosa positiva è la potenza visiva, che però senza una struttura narrativa altrettanto interessante diventa solamente belle immagini.
Mi chiedo che tipo di distribuzione possa avere.

KUNG FU ZOHRA di Mabrouk El Mechri (voto 4/5)
Donne, vostro marito vi mena? Imparate il Kung Fu.
Vincitore della sezione Big Screen di IFFR 2012 resta sempre miracolosamente in equilibrio tra pellicola seria, di denuncia, commedia e farsa. Tanti colori, quasi da cartone animato e anche addirittura qualche combattimento da film di Hong Kong.
Muovendo da una solida sceneggiatura, la vicenda narra di una donna tunisina che si trasferisce in Francia per amore, picchiata dal marito (che ha smesso abbastanza presto di essere un amore) che invece che cercare aiuto nelle istituzioni, trova una forma di difesa attraverso l’arte marziale.
Ben congegnato il motivo per cui non riesce a lasciarlo (oltre alla paura), tutta la storia è sempre ad un passo da essere troppo seria, troppo moralista, troppo comica, troppo irreale, ma si ferma sempre a qualche centimetro dall’esagerazione.
Si potrebbe obiettare dicendo che una cosa tanto importante e grave come i maltrattamenti domestici non dovrebbe mai avere un lato ironico o addirittura comico, io invece penso che sia un problema che si può risolvere anche affrontandolo in questo modo.
Splendida la protagonista.

ASSAULT di Adilkhan Yerzhanov (voto 3/5)
I precedenti film di Yerzhanov li avevo semplicemente adorati e di questi soprattutto l’ambientazione austera e la comicità tagliente che diventa sarcasmo attraverso i protagonisti delle storie, sempre esseri parecchio fuori della normale sfera sociale.
In questo film il regista tenta una strada più seria, pur mantenendo una visione iper cinica dei rapporti umani e caratterizzando ogni personaggio con tic e manie com’è solito fare.
Un gruppo di terroristi attacca una scuola in un paesino sperduto nelle montagne del Kazakistan (purtroppo poco approfondite le intenzioni di questo gruppo) e gli abitanti si radunano per organizzare l’assalto che permetta loro di liberare i ragazzini rimasti ostaggio dei terroristi.
Una sceneggiatura appena accennata, che solitamente è stata la forza dei suoi film, è il punto debole di questo: una storia così andava indagata più in profondità, servivano più informazioni, invece pare che sia soltanto l’ennesima occasione per presentare la carrellata di figure originali, che però paiono girare un po’ a vuoto.
Peccato perché gli esterni nella neve sono bellissimi.

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