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#FEFF23 – Pillole dal Far East Film Festival 2021, ultima parte

di il 05/03/2022
 

#FEFF23 – A Is for Agustin di Grace Simbulan
Stefania Carrer

Il Grande Maestro @Immanuel Casto insegna: “Perché imparare ad usare il congiuntivo quando sono così brava ad aprire il c***”?” (cit.). Immersa in questa tormentata riflessione mi trovo davanti Augustin, indigeno filippino che nelle periferie del mondo decide, a quarant’anni (corrispondenti ai nostri ottanta), di imparare a leggere, scrivere e a far di conto per non farsi più fregare.
Non so se provare tenerezza per l’ingenuità di questo proposito oppure fare il tifo per lui perché voglio convincermi che abbia ragione.
#consigliato, soprattutto a chi il congiuntivo l’ha imparato

 

#FEFF23 – #Ito いとみち (Itomichi) di Yokohama Satoko
Stefania Carrer

Mi sono resa conto che empatizzo con i protagonisti di praticamente tutti i film di formazione di adolescenti timidi, quindi il mio giudizio è un po’ scontato.
Ito è un’adorabile teenager giapponese che si arrabatta nel mondo con un’introversione che sfiora il mutismo ed una repressa passione per lo shamisen, strumento tradizionale che si suona a gambe aperte e a denti strettissimi. Alla fine del film, dopo aver superato le varie avversità che la vita le avrà messo davanti, diventerà una star internazionale che si lancia di spalle dal palco galleggiando sulla folla di pubblico in delirio; sipario. No dai, questo sarebbe successo nella versione americana del film. Fortunatamente, Ito propone tutte le riflessioni del caso, persino sul #patriarcato, in modo molto asciutto e gradevole.
#consigliato, soprattutto a chi ha sempre sognato di indossare un’uniforme da governante britannica.

 

FEFF23 – Dear Tenant (親愛的房客) di Cheng Yu-chieh
Michele Arienti

Drammone strappalacrime interpretato da clichè tagliati con l’accetta: un’anziana malata, un bambino timido/gentile e un “musicista sensibile gay” (il “parrucchiere sensibile gay” e “lo stilista sensibile gay” evidentemente erano già prenotati). A queste offese culturali aggiungiamo pure le dinamiche rovinose tra i protagonisti, tutte messe in scena con il mero obiettivo di spremere gli occhi degli spettatori con la cipolla. Fosse stato recitato da divi di Hollywood, avremmo l’oscar 2021 bello che pronto: omosessualità, eutanasia, suicidio e adozioni gender, mancano solo i campi di concentramento, i gattini di Facebook e i vegani per fare l’en plein di statuette. Vedo già i telegiornali USA di un mondo parallelo spolverare dal repertorio: “Capolavoro! Interpretazione memorabile del piccolo Matthew McConaughey e di Christian Bale, padre sensibile che ama davvero tantissimo le persone dello stesso sesso!”.
Salvare un’opera basata su fondamenta del genere è impossibile: due stelline su cinque, ne avrebbe prese tre se, tra gli attori, ci fosse stato Silvester Stallone: a tutti gli effetti sosia americano della madre diabetica.

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