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#Detour2021 – Festival del cinema di viaggio, una tenera realtà nel calendario della Cricchetta

di il 15/06/2021
 

È un po’ come quando, ad agosto, avvolto dall’afa padana, con la pressione bassa e in mutande davanti al Notebook, senti le cosce scivolare placidamente ma inesorabilmente sulla vernice lucida della sedia, appoggiate senza radici su di una purea collosa e rancida. Cosce ben adese ma instabili, due hovercraft in uno stagno di sebo e sudore. È così che mi sento nel tornare a scrivere dopo tanti mesi, anche nel confort di un microclima artificiale. Impastato, forse incastrato, sicuramente concentrato e volenteroso ma incerto e senza validi appigli. Non ho scelta, devo fluire morbidamente seguendo l’esempio del lento dondolare di cui sopra, senza impuntarmi e, se la prigionia dei mesi scorsi mi avesse davvero prosciugato del tutto, non sarà certo difficile smettere di opporre resistenza al destino.
Cristallizzato, certo, ma in buona compagnia: cinema chiusi, teatri vuoti, Festival svenduti online come fossero squallidi siti di streaming e la Cricchetta in stand-by, in attesa di una scusa qualsiasi per Non Parlar d’Amore.

Basta!

E’ il momento di abbassare la mascherina chirurgica, appoggiare gli occhiali e scuotere i boccoli al rallentatore: si parte per Padova, zona Arcella, praticamente il Bronx. È ora di baciare una Principessa che dorme da troppo tempo, il Detour Film Festival finalmente riapre gli occhi.

Alì supermercati, nonostante l’insegna troneggi sul tappeto rosso, non è main sponsor del Detour Film Festival

Quattro giorni di programmazione in una nuova sede, il mitologico MultiAstra, 8 film in concorso, il pubblico in presenza, pochi ospiti ma tantissimi ragazzi dello Staff, tutti belli e sorridenti, il microscopico bar preso d’assalto, il marciapiedi addobbato che separa gli sparuti avventori da morte certa sotto le ruote del tram e lo showrunner Marco Segato dal fare schietto, carismatico e divertito. Qui non ci sono primedonne con scollature vertiginose in cerca di fortuna sul tappeto rosso, ci si immerge in un ambiente accogliente e appassionatamente informale: semplice, nel senso più prezioso del termine.

Io al Detour ce vojo bene. La Cricchetta è fatta così, a volte paga per tèssere le lodi di un evento, altre viene pagata per deriderlo.

Tra i film in programmazione ce ne sono almeno tre di spicco. Oltre a quello d’apertura, l’ultima fatica di Herzog che non ha bisogno di presentazioni, promettono bene Adoration di Fabrice Du Welz, già in cartellone al Sitges Film Festival (una garanzia di qualità) e  Seawatch 3, il documentario sulla famosa nave ONG, salita sulle ali della ribalta durante la funesta e oramai defunta Epoca-Salvini, un paio d’anni fa. Se, quest’ultima opera, può essere (a grandi linee) immaginata anche prima della visione perchè, di fatto, segue in rispettoso silenzio, da dentro la nave, con telecamera a spalla, tutte le vicende che al tempo erano state abominevolmente storpiate dalla stampa nazionale, lo stesso non si può dire di Adoration: una deludente love-story tra tredicenni, interessante solo quando sfiora col guanto di cemento la pedo-pornografia. Per tutto il resto del tempo spreca il talento del direttore della fotografia con una facciata thriller-horror (con tanto di colonna sonora inquietante) totalmente ingiustificata. L’incredibile qualità dei suoi distopici e folli Calvaire, Vinyan e Alleluia resta molto lontana.

A sorpresa, il capolavoro del Detour 2021 è stato Lillian di Andreas Horvath, insuperabile per caratura artistica e prodotto praticamente da Dio in persona: Ulrich Seidl, il più grande talento cinematografico vivente. Si vede la Sua mano benedire questo film da chilometri di distanza. La pellicola è un progetto partorito in nove mesi, utilizza un linguaggio cinematografico cristallino e, nonostante sia praticamente muto, ha una forza espressiva e comunicativa come rarissimamente si ha l’onore di godere. Gran bel colpo di coda per un piccolo e promettente festival di provincia.

Il film di apertura, Nomad. In the footsteps of Bruce Chatwin di Werner Herzog non delude. Sala piena, se così si può dire, in tempi di distanziamento sociale obbligatorio. Si respira aria da Festival.
Dopo aver tamponato il sangue dalle orecchie, sceso durante gli interventi obbligatori iniziali, il solito indispensabile spreco di ossigeno standard plastificato tra sponsor e patrocinio, inizia finalmente la proiezione, non senza una leggera eccitazione per via del sempre più imminente spettro del coprifuoco legale che ci punta l’indice con aria seria.
Herzog è un gentleman di una certa età, son lontani i tempi dei suoi capolavori coraggiosi e rivoluzionari. Da qualche anno si è trasformato nel nonno che tutti vorremmo, quello che ti fa sedere sulle ginocchia davanti al caminetto in montagna e racconta le sue avventure riuscendo sempre a trovare la chiave giusta per coinvolgerti e piazzare pure qualche colpo in profondità. Questa sera esprime il suo amore per l’amico/fratello esploratore/scrittore Bruce Chatwin. Il film parte vitreo, si nota un po’ troppo l’impegno nell’imporsi una totale assenza di giudizio, lo fa non tanto per una forma di rispetto verso l’esoterismo o la religione di cui parla, quanto per il sottile, velato, desiderio che almeno una di queste tradizioni non sia semplice folclore gonfiato dai secoli o, peggio, un fenomeno da baraccone. Il film cresce lento ed inesorabile, c’è poco da dire se non che è riuscito a catturare l’intera platea, ipnotizzata dalla voce placida dell’indistruttibile regista tedesco.

“Bruce Chatwin non scrive mezze verità, ma una verità e mezzo”

Un festival di viaggio oggi, in un momento storico in cui i viaggi sono praticamente estinti, apre a panorami che non riempiono più solo occhi prosciugati, si insinuano in uno spazio più profondo dell’anima. Grazie Detour.

 

Per concludere, la consueta rubrica annuale: “I consigli, non richiesti, della Cricchetta del cinemino al Detour”

La Cricchetta è fatta così, non evidenzia problemi tanto per fiatare quanto per proporre soluzioni non richieste e tutte rubate da altri Festival.

  • Problema 1) Il costo per persona della rassegna. Per 11 film proiettati fanno 55 euro, praticamente il prezzo dell’abbonamento ad eventi internazionali tipo il Torino Film Festival o il Far East di Udine. Con la differenza che questi ultimi hanno un palinsesto di 60-80 proiezioni divise in 10 giorni.
  • Soluzione 1) abbonamento a tutte le proiezioni a prezzo forfettario, con obbligo di ritiro del biglietto per avere il controllo sul numero di accessi. In questo modo si correrebbe pure il rischio di trovarsi con la sala piena anche in orari difficili.

  • Problema 2) Il baretto di fianco al cinema chiuso la domenica rende inquietante quell’angolo metropolitano. Passi che il quartiere è quello che è, passi lo stradone trafficato davanti al cinema, passino i palazzoni scrostati e lo spaccio all’angolo ma togliere anche l’alcol ad un pubblico di veneti è un crimine contro la collettività. Fossimo in Belgio ci sarebbe stata guerra civile.
  • Soluzione 2) Convenzione Detour Happy Hour con la ridente gestrice dell’adorabile bar a fianco del cinema, per tutta la durata dell’evento.
  • Problema 3) Il silenzio in sala durante le presentazioni degli ospiti e dei film. Mi domando, perché non mettere un po’ di musica o perlomeno un jingle per intrattenere? Se ci fossero problemi di copyright mi accontenterei di un corposo numero di colpi di tosse registrati o di brusio generico da Pubblico-Delle-Grandi-Occasioni©, amplificato dalle casse del cinema. Una presentazione postprandiale sul palco gelido di in una sala con 15 persone è mortificante.
  • Soluzione 3) Chiedere gentilmente al tecnico di sala di premere play su VLC Player ad ogni ingresso e uscita di un ospite/presentatore.

 

 Al prossimo anno!

 

La caraffa di Campari, senza prosecco, chiamata sorprendentemente “Spritz” nel Bar cinese dello spaccio a duecento metri dal tappeto rosso. L’ho amata.

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