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#Venezia75 – Cronache e recensioni dalla Mostra Internazionale d’Arte cinematografica, parte 2

di il 02/09/2018
 

Nelle giornate dedicate alla Mostra del cinema di Venezia la sveglia che ricorda di andare a prendere il vaporetto suona presto, cinque ore di sonno e una crosta di parmigiano all’una di notte sono già un regalo. Si vive di passione e le violenze oculari/alimentari/biomeccaniche auto-inflitte per assistere a più proiezioni possibili si giustificano solo così.
Nel profondo di questa brevissima notte, i sogni degli appassionati si sono popolati di due tra i più grandi nomi del cinema presenti all’interno della manifestazione, divi internazionali dai quali si pretende molto, troppo, ed ai quali è difficile perdonare anche solo un passo falso. L’ovvio corollario è che le altissime aspettative hanno influenzato in parte il giudizio sul cambio di registro che entrambi i registi hanno coraggiosamente osato. Diversi, meno originali, forse minori e soprattutto senza i loro segni usuali. La sorpresa ha reso la mattinata gustosa ma difficilmente digeribile da chi li ha amati per lo stile artistico usato fino a ieri.

The Favourite è il film di Yorgos Lanthimos che non ti aspetti, rompe il gelo impenetrabile e smussa la geometria perfettamente spigolosa, pericolosa e disturbante a cui aveva piacevolmente abituato il pubblico. Copre le immagini di colore, costumi e umorismo. La prima parte della pellicola è una commedia brillante e tagliente: intrighi, giochi di corte, doppi giochi, amori nascosti, vendette, ricatti, intelligenza astuta. Sembra un nuovo romanzo di Oscar Wilde, anche nelle tematiche omosessuali. Nella seconda parte tenta il colpaccio della violenza psicologica ma ci riesce solo flebilmente. Conserva i suoi tocchi di classe e ha parecchie cartucce da sparare ma il paragone – anche solo con la sua filmografia recente (senza scomodare il capolavoro Kynodontas) – non regge. Tutto bellissimo ma rimane in superficie e già a ventiquattr’ore dalla proiezione fatico a ricordarne i contorni.
Lode al regista per il coraggio di cambiare e per esserci riuscito senza rovinarsi la reputazione, di questo bisogna dargli atto.

Roma di Alfonso Cuarón
– “Hai visto qualcosa stamattina?”
-“Hai presente quando un regista vuole raccontare un pezzo di storia politico/sociale, in bianco e nero, tenendo di sfondo il racconto macroscopico sbirciandolo semmai dal microcosmo quotidiano di una famiglia, e non ci riesce minimamente annoiando a morte? Ecco, questo è Roma. La visione si divide in interminabili momenti di sonno profondo a sparuti sketch divertenti completamente estranei a scene che avrebbero dovuto tagliare in fase di montaggio, come tutta l’ultima mezz’ora. I rari momenti originali e sopra le righe sono stati aggiunti in extremis per evitare che la delegazione venisse picchiata sul tappeto rosso alla sera da chi aveva visto il film in mattinata. Bella solo la metafora dell’automobile che fatica ad entrare in garage. Molto bella.
Ho preferito di gran lunga la sua meravigliosa americanata Gravity, il vecchio carrozzone con cui il regista aveva aperto la mostra del cinema cinque anni fa, con quei fichetti di Sandra Bullock e George Clooney.

 

Erom (Nudi) di Yaron Shani
Tra i due litiganti il terzo gode. La bellezza della giornata arriva da questo film israeliano sconosciuto, proiezione a cui ho partecipato contro voglia, temendo la solita banalità religiosa-drammatico-familiare. Invece no, aggrappandomi alle vacue speranze dei miei amichetti, mi sono trovato davanti ad un’opera semplice, ben progettata e leggermente ingenua.
E’ un film in cui non solo il sesso, ma anche l’amore è solo di stupro. Prostituzione, violenza sessuale, svezzamenti forzati e morte. Tutta la genuinità dei sentimenti, il palpitare dei cuori e le romanticherie sono volutamente snobbate in grande velocità. Commette un unico, tragico, errore, quello di censurare con la sfocatura televisiva i nudi frontali di cui il film e imbottito. Scelta artistica, dirà il regista in seguito, però la gente ha riso in sala e questo film non se lo meritava. Caro mio, se vuoi comunicare che il “non visto” è più eccitante/interessante del mostrato allora la prossima volta copri direttamente tutte le facce di tutti gli attori, nascondere solo cazzi e tette ti ha fatto sembrare un vecchio puritano ortodosso. E so che non lo volevi. Scelta infelice, insomma, ma almeno hai avuto un’idea, molto spesso anche nei festival internazionali non ce n’è nemmeno una. Ti promuovo, anche se le aspettative stanno davvero giocando la parte del leone sui giudizi di quest’anno, vista l’incredibile sequenza di star in concorso.

 

Per finire tanto vale tagliare la testa al toro e spiegare subito perché Suspiria di Guadagnino vincerà il Leone d’oro quest’anno. Basta mettere insieme i pezzi del mosaico, ci sono già tutti:

  • E’ un remake di un film di Dario Argento
  • Dario Argento è il nome del cinema italiano più noto a livello internazionale, lo conoscono anche nei sobborghi di Manila i poveracci che mangiano la zuppa di spazzatura
  • E’ un regista italiano e la Mostra ogni tot anni ha il tacito dovere statale non scritto di far vincere uno de noialtri
  • Il presidente della giuria è un bambino cresciuto di otto anni, noto per essere un nerd amante del cinema di genere: tutti lo adorano, me compreso, per questo
  • Guadagnino è osannato negli Stati Uniti e la Mostra ha stretto negli ultimi anni un’amicizia “speciale” con Hollywood, licenziando, ahimè, di fatto quasi tutto il cinema asiatico
  • Guadagnino è al massimo della popolarità dopo l’orribile Chiamami col tuo nome e l’Oscar, è ad oggi un brand che richiama produzioni ricchissime, inspiegabilmente, ma tant’è.

L’unico problema è che tra i vari ragionevoli motivi per dare a Suspiria il primo premio manca l’unico per cui sarebbe bello vederlo consegnare, ovvero quello di essere un bel film. Mi ha divertito, l’ho trovato elegante in alcune soluzioni, mi piacciono le teste che esplodono e ho una passione per la danza (e questo, sia ben chiaro, è  un film sulla danza) ma bello no.

 

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