Il Cinemalaya Indipendent Film Festival non seleziona film ma sceneggiature. Ogni anno un comitato sceglie quelle giudicate più meritevoli e le premia con un piccolo finanziamento, per aiutare le pagine a essere tradotte in film da presentare nella rassegna stessa.
La somma messa a disposizione dal comitato solitamente non basta a realizzare le opere e quindi investitori privati contribuiscono alle spese di produzione, a volte insieme ad attori famosi che vi recitano senza compenso o quasi.
Onore al merito, quindi, al comitato e ai finanziatori che hanno reputato degna di essere raccontata una storia che vuole, in maniera tragicomica, sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della legalizzazione della cannabis, soprattutto a scopo terapeutico.
Gulay lang, manong (E’ solo verdura, fratello), scritto e diretto da BC Amparado, racconta l’alleanza tra Ariel (Cedrick Juan), un poliziotto ambizioso, e un povero vecchio contadino, Pilo (Perry Dizon), al fine di sgominare un centro di produzione e spaccio di marijuana. In cambio della liberazione del nipote, momentaneamente catturato da Ariel perché coinvolto nello spaccio, Pilo asseconda il piano dell’agente per arrivare a scoprire anche le personalità politiche locali che proteggono il traffico. Nello svolgimento della trama, l’atteggiamento di entrambi nei confronti della cannabis, cambierà radicalmente. Il vecchio contadino, vedendo l’effetto benefico della pianta sulla figlia epilettica della Senatrice coinvolta nel presunto cartello, probabilmente inizierà a coltivarla; il poliziotto la userà allo stesso scopo per curare l’adorato padre malato.
La commedia si dipana veloce grazie a una sceneggiatura senza fronzoli e alle caratterizzazioni dei personaggi tra i quali spicca, insieme ai due attori citati, l’esilarante Ranzel Magpantay, nel ruolo dello spacciatore sballone.
Di nuovo un film che, se non proprio necessario, è almeno di reale rilevanza sociale. Non a caso ha vinto l’Audience Choice Award, il premio del pubblico.
Nei titoli di coda si scopre che, tra i finanziatori del progetto, ci sono le associazioni che si battono per la legalizzazione della marijuana, perlomeno a scopo terapeutico. Nelle Filippine, una legislazione intollerante non fa distinzioni tra le varie sostanze stupefacenti. Anche il possesso di CBD, la cui vendita da noi è ammessa, anche se a forte rischio di neoproibizionismo, può causare l’arresto e pene severe. E’ evidente, come per Tumandok, l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica su un problema che riguarda il rapporto tra regole sociali e le esigenze delle persone che di tali norme dovrebbero beneficiare. L’attrice che nel film interpreta la Senatrice (la veterana Lui Manansala) mi ha confidato che una bozza di legge per depenalizzare e liberare la vendita della canapa indiana è in fase di approvazione in Senato.
Così, anche un Paese che ha eletto come Presidente il figlio dell’ex dittatore Marcos e, in precedenza, il generale della guerra alla droga Duterte, ci sta dando lezioni di buonsenso e apertura verso le esigenze e i cambiamenti della società civile. In Italia, dove quasi tutti hanno fumato uno spinello almeno una volta nella vita, dobbiamo sopportare l’ipocrisia di una destra che, a parte essere serva come e più della sinistra verso i padroni americani, finge di salvaguardare i valori della famiglia e della protezione delle giovani generazioni, mentre continua ad alimentare il mercato nero gestito dalle mafie e non certo per il bene comune.