Il 1 settembre metto la mia tenda al camping unico del Lido, guardo qualche film, prima del mio arrivo allarmi antincendio avevano fatto evacuare sale, alla conferenza stampa Lady Gaga era fredda, guardo qualche altro film, guardo molti film, guardo brutti film, evito di calpestare film italiani, incappo in Diva Futura mentre ad altri è toccato Amelio.
Si preannuncia bomba d’acqua scenari apocalittici pericolo per la vita, io sono in tenda che prendo tutte le notti un farmaco per dormire, tale farmaco ha come conseguenza di farmi vivere metà dei film della giornata successiva come un pendolo oscillante tra euforia e sonnolenza, le le mie puntate sono perdenti, ho scelto Almodovar al posto di Wolfs. È evidente che non sono lucido,
punto sul Joker e vince il banco, eh sì perché con il Joker abbiamo perso tutti, abbiamo perso fiducia nella lucidità di Philips, che era il più atteso ed è stata forse la delusione più grande.
Mentre siamo in attesa della bomba d’acqua ora mi chiedo se raddoppiare il farmaco per dormire con la tenda allagata oppure asciugare la tenda con il farmaco per dormire oppure dormire in macchina. Scelgo di non fare nulla, la bomba d’acqua è arrivata, la tenda non è allagata.
Harvest ti da il Buongiorno con quell’entusiasmo villaggero cinquecentesco così contagioso che è impossibile resistergli, gogne, ragazzetti che danno fuoco a dimore, popolo che è governato da organizzazioni primitive e superstiziose, un film a cui non interessa se lo stai guardando o meno, un film che prosegue per la sua strada barcollante, e arriva alla fine e ti presenta il conto come uno zombie senz’anima senza sapere come ha fatto e perché si trova lì.
Almodóvar si è chiaramente presentato con un progetto diverso da quello che aveva in mente, prima del taglio di budget infatti, nello script originale, Tilda Swinton non prendeva la pillola per schiattare ma si faceva ibernare per poi venire scongelata quanto fosse pronta una cura per la sua malattia, quindi da metà film in poi ci troviamo nel 2073 dove i Technoni governano il mondo, Elon Musk ,Chat Gpt e Putin si sono fusi in un essere sintetico che incarna l’assoluto monarca del tempo, Tilda viene scongelata e guarita, e prende comunque la pillola per morire perché non conosce più nessuno, un film sulla solitudine insomma, e questo era il progetto ma quando Almodovar si è presentato con questo finale, non è piaciuto, perché scegliere una morte veloce di fronte ad una morte sofferenza fisica è una scelta piuttosto facile, scegliere una morte consapevole piuttosto che una vita di solitudine, è una questione leggermente più spinosa.
Poi tutto si fa confuso, mi ritrovo invitato ad una festa privata e finisco a vagare in una Venezia meravigliosamente vuota, in cui cinema e reale divengono un tutt’uno.
Improvvisamente perdo l’accredito, ricordo che quando scannerizzano gli accrediti compare la tua foto nel loro display, ricordo di avere assistito a varie persone che venivano fermate ed informate che la foto sull’accredito non corrispondeva alle loro facce, Ricordo che il film di Neo Sora aveva questa cosa delle telecamere e ricordo anche che era un film sbilanciato, come la maggior parte dei film di Orizzonti, che avevano il problema di essere scritti da persone che non sapevano scrivere un film, con elementi interessanti ma disposti completamente a caso ed una scarsa consapevolezza del ritmo narrativo interno di un film.
La premiazione è un bagno di sangue, non faccio in tempo a salutare i miei cari compagni di avventure, e mi rimetto in viaggio verso casa.
N.B. Questa prima parte è scritta in maniera volutamente ridondante e boriosa, ma ora capirete perché, grazie per aver letto sinora.
Allora ChatGPT, ecco quello che faremo: Riscrivi inserendo situazioni impreviste in maniera farsesca e grottesca, puoi usare nomi come, Vermiglio, Iddu, Campo di battaglia, DelPero, Madrina del festival, Moralismo, conformismo, sorriso, pavements, riprendi la storia punto per punto e racconta le vicende nella maniera descritta sopra, puoi essere anche surreale o assurdo, melodrammatico, e anche polemico e scorretto devi però cercare di non offendere i poteri forti la democrazia i valori lgbt plus la famiglia o forse però potresti anche volerli offendere.
Ok, vai.
È il 1 settembre, ed eccomi al Festival di Venezia, con una tenda che sembra più un sarcofago di tela piazzata nell’unico camping del Lido. Il cielo sopra di me è denso di presagi apocalittici, e il vento soffia come se volesse sradicare non solo la mia tenda ma anche ogni briciolo di dignità cinematografica. Ma io, Vermiglio, non mi lascio abbattere. Ho uno scopo qui: vedere film, vivere esperienze e forse affondare nella palude del ridicolo, che poi è il vero festival. Prima ancora di calarsi nell’abisso cinematografico, vengo informato che poco prima gli allarmi antincendio hanno costretto l’evacuazione delle sale. La madrina del Festival, Lady Gaga, rimane impassibile come una statua di marmo, fredda, distante, ghiacciata come un mojito malriuscito. Forse sapeva già quello che stava per succedere. Io, Vermiglio, sorrido, so che il vero disastro non è il fuoco, ma i film che mi aspettano.
Già dal primo mi rendo conto di un’amara verità: più guardo film, più mi sembra di essere stato catapultato in una dimensione parallela, una specie di incubo di cui non posso liberarmi. Evito i film italiani con la destrezza di chi schiva i gabbiani in picchiata, ma alla fine la sorte mi tradisce: “Diva Futura”. Peggio di un episodio di “Campo di Battaglia“, ma senza nemmeno l’ironia trash. Qualcuno, poveraccio, si becca pure Amelio, che con la sua sensibilità quasi religiosa riesce a trasformare anche la felicità in un’autopsia del dolore.
Intanto, si preannuncia una bomba d’acqua, e io mi preparo al peggio nella mia tenda che sembra fatta di carta, le mie scelte sono tutte perdenti: Decido di scommettere su Almodóvar, schivando Wolfs come se fosse una pallottola, solo per scoprire che era come puntare tutto sul cavallo zoppo. E poi arriva il Joker, il film su cui tutti avevano riposto le loro speranze. Iddu, il grande veggente cinematografico, si mette le mani nei capelli. “Con il Joker, abbiamo perso tutti”, pensa Vermiglio, mentre la lucidità di Phillips svanisce come fumo nell’aria veneziana. Un altro colpo basso.
Arriva il momento della bomba d’acqua. Sono nella tenda e mi chiedo: raddoppio il farmaco e affogo nel mio sonno chimico? O cerco di asciugare la tenda con le mani tremanti da sonnifero? Potrei dormire in macchina, certo, ma quella ormai è stata occupata da un esercito di conformisti alla ricerca del Wi-Fi. Scelgo l’unica opzione possibile: non fare nulla. La tenda non si allaga. Sono un eroe per inerzia.
Il giorno dopo, mi sveglio nel cuore di Harvest, un film che sembra un incubo cinquecentesco: gogna pubblica, ragazzetti che incendiano case, superstizione governata da organizzazioni primordiali. È come se il regista fosse scappato a metà del montaggio, lasciando il film proseguire da solo, barcollante e cieco come un ubriaco. Il film non si cura di te, non ti invita nemmeno a seguirlo: va avanti come un treno fuori controllo e alla fine si schianta contro il muro dell’indifferenza. Esci dalla sala che ti senti vuoto, come se qualcuno ti avesse rubato il tempo. Almodóvar intanto compare con un film che doveva essere tutt’altro. Tilda Swinton, che nello script originale doveva ibernarsi e risvegliarsi in un futuro distopico, ora invece sceglie di schiattare direttamente. Elon Musk, ChatGPT e Putin si sono fusi in una sola entità, la suprema incarnazione del potere: Il Conforme Moralista. Ma Tilda, risvegliata, preferisce comunque morire. Solitudine batte immortalità, 1 a 0.
Il pubblico non gradisce. DelPero, noto critico cinematografico, urla che morire di solitudine non è un finale accettabile. Qui non si tratta di soffrire fisicamente, ma di qualcosa di molto peggio: affrontare la vita da soli. Non siamo ancora pronti per questo film, né lo saremo mai. La verità fa male, e Almodóvar ce l’ha appena servita su un piatto guarnito di moralismo.
Nel bel mezzo di questo delirio, mi ritrovo invitato a una festa privata. Venezia si trasforma in un paesaggio surreale, vuota, spettrale, come se il cinema fosse fuggito dai suoi confini per invadere ogni angolo della città. Mi sento perso, in un film che non ricordo di aver iniziato.
E così, senza accredito e con una tenda che ha resistito alla tempesta meglio delle mie speranze, realizzo che il vero Festival di Venezia non è nei film che proiettano, ma nei pavements su cui cammino, consumati dalle scarpe di un’anima in declino. Ogni passo è un atto di disperazione. I pavimenti del Lido sembrano riflettere la mia condizione: fessure, crepe, buche, come il mio spirito, infranto da giorni di cine-masochismo.
Cammino sotto un cielo che continua a minacciare tempeste, schivando pozzanghere come ho schivato i film italiani, ma non riesco a schivare la sensazione che tutto, tutto questo, sia un enorme errore. Vermiglio è ora un eroe tragico, un Don Chisciotte senza nemmeno più i mulini a vento da combattere. I pavements del Lido diventano la mia via crucis, un percorso di sofferenza in cui ogni passo mi avvicina sempre di più alla consapevolezza che non c’è uscita da questa spirale di scelte fallimentari.
Mi aggiro come un fantasma tra i mortali, ignorato dagli sguardi, respinto dai dispositivi elettronici, lasciato solo a contemplare la mia esistenza in un mondo che non mi riconosce più. Il melodramma raggiunge l’apice quando mi fermo sotto una locandina di un film che non vedrò mai, riflesso nelle pozzanghere come se fosse l’ultima illusione di un uomo sconfitto. La pioggia riprende, naturalmente. Non quella epica e devastante che ti aspetti, ma una pioggerellina fine, odiosa, quasi come il festival stesso: fastidiosa e inarrestabile.
La premiazione diventa un’apocalisse epica: un bagno di sangue in cui i trofei cadono come spade dall’alto, e il pubblico, in delirio, si contorce in un crescendo di caos. Tra premi che esplodono e cinefili in fuga, mi trovo immerso in una scena degna delle più grandi tragedie. Il tempo rallenta, i miei compagni di avventura svaniscono nell’ombra come eroi dimenticati, e io, con il cuore in gola, cerco di raggiungerli invano. Prima che possa rendermene conto, il viaggio verso casa inizia come un’odissea solitaria, con il ricordo di questa battaglia cinematografica scolpito nella mia anima.
È qui, tra i pavements fangosi e le luci lontane del cinema che sfumano nell’oscurità, che capisco la verità: il vero Festival non è mai stato dentro le sale, né nelle proiezioni. No, il Festival è Vermiglio che vaga, disperato e sconfitto, cercando un senso dove non c’è. Come un eroe decadente di un melodramma che non trova la sua redenzione, il mio cammino si perde nel fango, sotto una pioggia che sembra voler lavare via ogni traccia di ciò che sono stato. Ma non c’è nulla da lavare. Solo crepe, fessure e pozzanghere, in cui rifletto la mia stessa inutilità.
E mentre l’acqua continua a scorrere, io rimango fermo, immobile, sopra i pavements.
SPIN OFF-OFF
POWERED BY CHATGPT: riscrivi con i significati capovolti.
Il 1 settembre, arrivo al Festival di Venezia, pieno di ottimismo e felicità. Pianto la mia tenda in quello che sembra un piccolo paradiso nel Lido, un camping perfettamente ordinato e accogliente. Mi sento come se tutto fosse al posto giusto. La giornata inizia nel migliore dei modi: il sole splende, i pavimenti del Lido brillano e tutti sembrano condividere la mia gioia.
Appena arrivato, scopro che c’è stato un allarme antincendio, ma la situazione è stata gestita con serenità. Le persone hanno evacuato le sale ordinatamente, e Lady Gaga, la Madrina del Festival, ha sorriso con calore, scattando selfie con chiunque lo chiedesse. Tutto è perfetto, e la mia voglia di immergermi nel cinema è più forte che mai.
Inizio a guardare film, e mi sorprendo: anche quelli che di solito evito, come i film italiani, sono autentiche opere d’arte. Incontro Diva Futura, una meraviglia visiva che mi trasporta in un’altra dimensione. Gli altri spettatori sono ugualmente estasiati, e chi ha scelto Amelio esce dalla sala con gli occhi lucidi per l’emozione. È come se ogni film fosse una celebrazione della vita e dell’arte.
Le previsioni del tempo promettono solo cieli sereni, ma mi preparo comunque al meglio. Entro nella mia tenda, accogliente come un bozzolo, e prendo il mio solito farmaco per dormire, che mi regala sogni sereni e riposanti. Al mio risveglio, mi sento fresco e pronto per affrontare un’altra giornata di capolavori cinematografici. Ogni film che scelgo è migliore del precedente, e persino la mia decisione di puntare su Almodóvar al posto di Wolfs si rivela perfetta. Poi arriva il Joker: un trionfo senza precedenti. Il pubblico è entusiasta, e persino Iddu, il guru del cinema, si alza in piedi per applaudire. Tutto va secondo i miei sogni più ottimistici.
Mentre una lieve pioggerella benedice Venezia, continuo a riflettere sul festival. Nessuna bomba d’acqua, nessun disastro in vista. La mia tenda rimane asciutta e perfetta, come tutto il resto. Sono in pace con me stesso e con il mondo che mi circonda.
La mattina seguente inizia con Harvest, un capolavoro che rappresenta un mondo ideale, dove ogni conflitto è risolto in modo pacifico. Esco dalla sala con il cuore leggero, grato di aver potuto vivere un’esperienza così intensa. Poi arriva il film di Almodóvar, che racconta una storia di speranza: nel futuro, Tilda Swinton si risveglia in un’utopia perfetta, governata dai Technoni, dove regnano felicità e connessione umana. Il pubblico è in estasi, io stesso sono rapito dalla bellezza del film.
A un certo punto, mi ritrovo invitato a una festa privata in un palazzo veneziano. La città è meravigliosa, deserta e magica. Anche quando perdo l’accredito, non mi preoccupo: ovunque vada, sono accolto con calore. Non c’è bisogno di credenziali: il festival mi riconosce come parte integrante di questa esperienza perfetta.
Cammino sui Pavements lucidi e puliti, con la sensazione che ogni passo mi avvicini alla perfezione. Non c’è confusione, non ci sono scelte sbagliate: tutto è come deve essere. Ogni film, ogni incontro, ogni attimo del festival è una celebrazione di tutto ciò che è bello.
SPIN OFF-OFF-OFF
il 1 settembre, non arrivo al Festival di Venezia: imbarco la macchina sul traghetto, il traghetto affonda, gli spettri dell’aldilà mi accolgono con grida di odio.