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#Venezia73 – Stalker di Andrei Tarkovsky rimasterizzato in 4K

di il 07/09/2016
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Sono fresco di lettura del libro (pietra miliare) da cui prende spunto questo classico del famoso regista russo. Le calde giornate di febbraio a Barra do Cunhau mi hanno calmato abbastanza da riuscire a finire un romanzo che tenevo da parte da troppo tempo.
Parto subito dal vergognoso luogo comune: il libro è migliore. Non perché il film ne sia una copia sbiadita, tutt’altro: le due opere non hanno contatto, se non nell’uso dei due storici vocaboli sotto copyright: “Stalker” e “Zona”, due parole ormai universali, entrate nei dizionari di ogni essere umano evoluto, inventate nel loro Picnic sul ciglio della strada (in russo Пикник на обочине – Pikník na obóčine), un romanzo di fantascienza, dai fratelli Arkadij e Boris Strugackij.

Il regista prende dal romanzo solo la parte filosofica, metafisica e metaforica, tralasciando praticamente tutto il Mondo creato dai due scrittori. Creare mondi non è facile, trattare questo sforzo immaginativo come uno scarto è sconcertante. La Bibba, dopotutto, ci campa da millenni.
Tarkovsky mette tanto di suo, troppo per poter accomunare i due progetti.
Nel voler rendere originale il film non c’è nulla di male, anzi: i creativi devono dare sfogo al loro personale ardore ma, avendo i diritti sul libro e potendo attingere da quella miniera d’oro, lascia indietro troppe fette di genio per non fargliene una colpa. Specie se il risultato alla fine è di un paio di spanne meno profondo. Ammirevole, insomma, l’intento colto ma, a livello di contenuto, il film ne esce perdente, quasi una delusione.

Il regista cambia il protagonista e, al posto del coraggiso, cosciente, esperto e silenzioso antieroe del libro infila una macchietta insicura. Mostra le “trappole” mortali della Zona come un concetto mentale, lasciando allo spettatore la voglia di immaginarle reali o meno. Tutto per l’insufficienza di mezzi e fondi. Mancano le basi futuristiche, manca soprattutto il sovrannaturale, mancano le dinamiche lavorative e politiche, mancano il clima, l’ambientazione high-tech decadente e l’avventura avvincente. Manca l’evoluzione (o involuzione) del personaggio principale. Sembra che che il film sia la seconda puntata di una serie, basata sul libro, che non è mai stata girata.

Fortunatamente, l’ultima scena, (riguardevole anche tecnicamente), riqualifica profondamente la pellicola, sopperendo alla sua più grave assenza. In questo modo rimane ancora più amaro in bocca, per via di quanto in più poteva essere fatto. Ad ogni modo, se non si chiamasse cosi, il film sarebbe quasi un capolavoro.
Ma il suo pesante fardello lo castiga ad opera supervalutata

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