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#milanofilmfest25 – IL PESO DEI CORPI, Some Nights I Feel Like Walking di Petersen Vargas

di il 16/06/2025
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Ci sono pezzi che richiedono più tempo, forse è questo che mi ha detto MFF sottovoce: prenditi del tempo. Tra la vasta scelta, decidi quello che fa per te e assaporalo, poi lascia sedimentare. Sento che Some nights I feel like Walking (Queer Drama filippino) sta ancora macinando dentro a distanza di qualche giorno. Sarà per il tema che mette in scena, sarà per la riflessione sui corpi, sarà per la sua verità.

Si parte con una scena che fa subito capire il contesto: nel bagno lurido, i corpi di due giovani uomini si strusciano. Non è chiaro se per passione o per denaro. Seguiamo il protagonista Uno e ci troviamo in una sala del cinema dove diverse coppie di uomini, sempre uno giovane e uno più anziano, sono impegnate in rapporti sessuali seduti nel buio della proiezione. Mi parte subito lo schifo nel pensare di essere seduta in sedie di velluto di una sala cinematografica e mi chiedo cosa avrà visto la mia sedia. Ripenso al primo bacio con gli apparecchi sferruzzanti, poi inizio a notare che nello schermo ci sono sole coppie di uomini. Ragazzi bellissimi e giovani, dai lineamenti dolci e raffinati, ‘massaggiano’ vecchi rilassati e grati dal trattamento. Terminata la prestazione nella sala da cinema e poi nei bagni (notevole la scena del threesom grazie a cui nasce l’amicizia tra i due protagonisti del film, Uno e Zion), i ragazzi escono correndo nelle strade di Manila, tra mercati coloratissimi e vicoli bui. Il fermo immagine sulla viscida murena rievoca lo squallore del momento appena concluso. Qualcuno gira con la mascherina, ci fa intuire di essere ancora durante il COVID, quando molte “saune” hanno chiuso e i ragazzi di strada si ritrovavano a lavorare nei luoghi pubblici, vendendo il proprio corpo.

La passeggiata dei due ragazzi diventa una corsa forsennata quando scoprono che il loro amico Miguelito (Gue per gli amici) è in pericolo. Chiamano al telefono i soccorsi, Rush e Bay, anche loro massaggiatori, si conoscono da una vita. Giunti da Gue, ormai agonizzante e abbandonato in un vicolo sudicio, Zion e Uno lo prendono di peso e lo trasportano in un posto sicuro per fornirgli le cure essenziali per farlo sopravvivere all’overdose. Salgono su un taxi scalcagnato, cercando di tenerlo vigile, fino a che non sentono più il battito.

Parte un viaggio disperato con il morto, trascinato di peso da un mezzo all’altro, fino al nascondiglio offerto da Zion, un ragazzo che Uno ha conosciuto durante un rapporto sessuale di poche ore e che viene accolto timorosamente nel gruppo.

L’unica cosa che sa fare è “essere eccitato

Sembra un ragazzo di buona famiglia, con gli agganci giusti, e li conduce in una camera d’hotel di lusso, molto barocca e disordinata, con il soffitto che pare un cielo. Quale luogo più ideale per prendersi cura del loro amico morto, lavandolo dolcemente nella vasca, come il più solenne dei rituali. Dopo questo rito, una sorta di purificazione collettiva dei corpi, Uno e Zion si prendono del tempo per confidenze fissando la volta kitsch e riflettono sulla loro condizione di vita: ‘’Questa cosa che facciamo ci ha fatto il lavaggio del cervello e non possiamo avere niente, neanche i nostri corpi che diamo via.’’ Tutti e quattro i ragazzi, davanti alla morte inutile dell’amico si fermano e pensano quale sia il modo migliore di celebrare questa fine. L’ultimo desiderio di Gue è quello di essere riportato nella sua città natale, dove c’è la sua famiglia, tra cui un fratello-pastore. Terminata la celebrazione del lutto, i ragazzi si ingegnano e capiscono che quello diverrà l’unico loro obiettivo di vita per i giorni a venire. Caricano il corpo esanime dentro un sacco e piangono, capiscono che è davvero finita la giovane vita dell’amico. Da lì parte un viaggio interminabile direzione Paianawa, città natale di Miguelito, carico di dolore, compassione e amore. Il gruppo incontra varie peripezie, superate con audacia e un pizzico di fortuna, sempre trasportando questo enorme e pesante sacco nero, il peso di un corpo ormai freddo.

Uno e Zion come due innamorati, ci aspettiamo tutti una scena di sesso, invece solo un bacio e un tenessimo abbraccio, distesi nel campo, nella terra fredda, ormai vicini alla loro mèta. Un bacio che diventa più potente dell’amore, atto estremo di liberazione dalla schiavitù dei corpi venduti. “Voglio scappare come te. Voglio sentire che possiedo il mio corpo“. Risvegliati come da un sogno, in questa foresta incantata, seguono il suono della musica fino a trovarsi nell’Eden. Giungono in un’accogliente comunità trans che sta festeggiando in un chiosco in mezzo alla foresta, posto dove loro si sentono al sicuro, lontane dalla festa cattolica del villaggio al momento in corso. Le ragazze offrono ad Uno e Zion un rinfrescante jungle juice e poi danno loro un passaggio in sella alla moto fino alla piazza, luogo di ritrovo con gli altri compagni. Sono finalmente tutti riuniti, e giunti ormai alla destinazione di questa lunga processione, sempre con il corpo pesante di Gue dentro il borsone, quasi un fardello che non sembra più un corpo, ma soltanto una manifestazione materiale di quello che un tempo era il loro amico, un involucro, ormai privo di significato, da cui è giunto ormai il momento di staccarsi.

L’incontro con il religioso fratello è traumatico e cela molta rabbia e ingiustizia: l’ipocrisia devota e insopportabile agli occhi degli amici, fa comprendere loro che nessuno si prenderà il corpo di Gue e che è giunta l’ora di lasciarlo andare. Dopo la vita peccaminosa a Manila, resta solo un mucchio di ossa che trovano pace nel fuoco, simbolo di purificazione e rinascita, per lui e per gli amici, che si stringono in un ultimo commovente abbraccio finale.

Credo che le cose buone possono ancora accedere.

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