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Megalopolis di Francis Ford Coppola

di il 28/09/2024
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L'assoluta libertà

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IL MIO VOTO


AFORISMA
 

When does an Empire die, does it collapse in one terrible moment? No, but there comes a time when his people no longer believe in it.

 

– Mi racconti una favola della buonanotte, nonno Francesco?

– Certo, piccola. Che cosa vuoi sentire: Biancaneve, Cenerentola?

– No, nonno. Vorrei una di quelle storie che inventi tu.

– Sei sicura? Guarda che le storie del nonno sono un po’ bizzarre, eh?

– Lo so, nonno, per questo mi piacciono.

– E va bene. Allora… C’era una  volta un architetto…

– Cos’è un architetto?

– Un signore che progetta le case, i palazzi, le scuole, i ponti, eccetera. Quest’architetto aveva inventato una sostanza magica, il Megalon, che consentiva di dare forma concreta ai suoi progetti. Questo signore, che chiameremo Cesare, aveva anche il potere di fermare il tempo…

– Come faceva?

– Diceva :”Fermati tempo!“

– Facile!

– E c’era anche il sindaco della sua città che odiava le sue idee.

– Perché?

– Perché aveva paura di perdere il suo potere e temeva ogni novità. Sua figlia, però, era innamorata dell’ architetto. Allora…

Così è Megalopolis di Francis Ford Coppola. Una favola (come premesso in didascalia all’inizio del film). Il racconto di un nonno alla nipotina, A puntate. E come da ogni racconto che scaturisce dalla fantasia e dalla memoria di un vecchio, non ci si deve aspettare rigore logico, coerenza narrativa, consistenza dei personaggi. La storia procede per accumuli, assonanze, rimembranze. A volte, se il cantastorie è malinconico, l’eroe sembra soccombere alle forze oscure interiori ed esteriori che contrastano i suoi buoni intenti. Se nonno Francesco è un po’ brillo o fumato, qualche momento di goffa supponenza può esplodere in dialoghi altisonanti o derive narrative senza seguito. Ci si può indignare, protestare. Al nonno importa poco.

– Se vuoi sentire la storia, devi stare buonina, piccola.

A differenza di tutto lo scarso pubblico, che si è presto dileguato, io la sono stata e non me ne sono pentita. Ho visto attori recitare su registri diversi in scene contigue. Mi sono immersa in scenari dal sapore analogico anche quando erano digitali. E poi cattivi, cattivoni che finiscono male, com’è giusto. La corsa delle bighe di Ben Hur al Madison Square Garden. New York (New Rome) che sembra Gotham City. Citazioni di autori latini e dialoghi in latino. Amleto. Amori carnali, amori filiali, amori d’interesse, amori universali e l’inevitabile lieto fine, vagamente enigmatico. Che non ci vengano gli incubi a noi, brave bambine.

Megalopolis è indigesto se visto con qualsiasi altro approccio. È un cult… perché è nato così.

Chi si aspetta il narratore de Il Padrino o Apocalypse now o anche solo de L’uomo della pioggia, farà meglio a rinunciare.

Nonno Francesco ha ottantacinque anni. Ha investito una discreta porzione del suo patrimonio personale per dare forma alla sua favola di un’epoca trascorsa. Contro corrente rispetto all’industria del cinema, ai buoni consigli, al pudore di non osare, al terrore di fallire, libero e senza desideri come solo un vecchio può essere, vola sulle nostre teste inscatolate e addomesticate con la sfrontata innocenza di chi ha troppo o troppo poco tempo davanti. E dal suo personale pianeta, per bocca del suo Cesare, ci suggerisce una domanda che, in questi tempi intrisi d’impotenza, paura e sangue, faremmo bene a porci: “È questa società, questa in cui viviamo, l’unica possibile, per noi?”

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