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#Julieta di Pedro Almodóvar – sul rapporto tra cinema d’autore e ghetto

di il 05/06/2016
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MI PIACE

Le idee impopolari veicolate con con concetti popolari

NON MI PIACE

Il pubblico è entrato in sala invece di onorare l'opera

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IL MIO VOTO


AFORISMA
 

Il Ghetto Geriatrico® umilia l'arte

 

L’articolo è lungo, pieno di contraddizioni, errori, farneticazioni disoneste, invenzioni e blaterazioni. Se sei di fretta leggi la versione breve. Se sei in ansia, sotto stress, pieno di paura ed illuso che la tua vita di merda passata in ufficio o in famiglia sia così piena ed importante da non aver tempo da perdere a leggere stronzate, ti regalo la brevissima, cioè: è bello, vai a vederlo, anche se ormai sei comunque spacciato. Come io lo sono per la noia.

Un martedì qualsiasi, ore 17:50 + Pedro Almodóvar.
L’equazione porta tristemente ad un solo prevedibile risultato: anziani claudicanti mi ostacolano l’ingresso, mi seguono lenti ma inesorabili e mi tengono compagnia in sala, dandomi al tempo stesso il metro di misura sulla capacità dei giovani italiani nel coltivare l’arte. Vista la parata, mi deprimo e penso che – a questo punto – piuttosto di vedere solo poltrone alternate a tripodi in lega leggera, preferirei che i film d’autore non venissero più trasmessi nei cinema nostrani. Lasciamoli a popoli più colti o ai frequentatori dei festival cinematografici, o all’home-video, meglio se illegale, cosicché non possano che esser visti nella loro perfetta lingua originale.
Il pensiero peggiore di tutti è l’immagine iper-definita di quanto questo Ghetto Geriatrico® sia umiliante per l’arte stessa. L’arte è uno degli ultimi (se non l’ultimo) paladini della libertà, è una forza esplosiva generata dall’ozio inteso come “non-obbligo” che combatte per sua natura i Recinti Sociali®.
L’imbarazzo è lo stesso di quando vedo un pubblico di ventenni in preda agli ormoni hollywoodiani. O di soli gay, comunisti barbuti, coppiette, famiglie o persone tristi e sole: che non mi si torni a dire che ce l’ho in particolare con gli anziani. A cui praticamente devo la vita.

Julieta Non è un film per vecchi (cit.). Non esistono i film per vecchi. Se sei vecchio e in sala vedi solo tuoi simili, ti prego, esci. Per amore della natura stessa dell'arte. Per onorarla.

Julieta Non è un film per vecchi (cit.). Non esistono i film per vecchi. Se sei vecchio e in sala vedi solo tuoi simili, ti prego, esci. Per amore della natura stessa dell’arte.

C’era una volta, durante l’era primordiale, il bel film che non torna più, quello con il regista che provava a fare il meglio che poteva affinché il risultato lo soddisfacesse. La magia del far brillare gli occhi della gente. Ai tempi non c’era differenza tra cinema d’autore e cinema popolare. Poi, però, il sogno dell’immagine in movimento è diventato puro commercio, e le vendite sono diventate direttamente proporzionali all’investimento pubblicitario. Il regista si è trasformato così nello schiavo del ricco produttore, al servizio del box office: sorprendere, far girare la testa ed ubriacare. A scapito di qualsiasi altra ragion d’essere dell’opera. I film che escono al multisala oggi puntano direttamente sull’usa e getta, sul restare sulla punta della lingua per una mezz’ora dopo la visione, sulla singola scena azzeccata o sul breve dialogo divertente/arguto. Diventano così una lunga sequenza di microfilm di 5 minuti concatenati in post-produzione per tirarne fuori almeno un qualche senso nebuloso. I registi sono sempre più degli ortopedici della settima arte, non guardano più il quadro generale o i meccanismi che sostengono il sistema cinema, si focalizzano sulla singola articolazione dolorante, sull’attimo presente e sul sintomo. Un tempo invece erano fisiatri dalle larghe vedute: per un dolore all’anca analizzavano la dieta e valutavano la simmetria dell’appoggio a terra. Non ti mettevano subito una protesi in titanio. Nemmeno fossi un cazzo di robot transformers.

Transformers1

 

E’ per questa folle avidità che, col passare delle decadi, gli irriducibili, gli appassionati e quelli che credono in quello che fanno si sono uniti e differenziati dando vita al Film Indipendente®,  d’Autore® e quello Da Festival Cinematografico®. Tutti ghetti. E il ghetto, come il Lager o la gabbia (vorrei non ripetermi ma non ci riesco), offende l’arte alle sue radici.
La bramosia di danaro distrugge tutto ciò che è puro, onesto, appassionato e naturale. Anche al cinema.

Lo scapigliato regista spagnolo è uno degli ultimi esponenti del cinema dei primordi, Julieta non è una successione sequenziale di scene fighe o dialoghi memorabili, è una rarità: una bella storia popolare® di cento minuti, un unicum interessante perchè usato come scusa per veicolare idee impopolari® ed in parte rivoluzionarie. Cede al mercato solo quando rende didascalica (prevedendo una parte di pubblico idiota) la connessione tra le tre figure cardine del racconto, elencandole una a una in un momento cruciale della storia. Se anche uno come lui è costretto ad esplicitare schematicamente i pochi concetti espressi in maniera non elementare, il futuro non è roseo. Ma sa come riscattarsi: un uomo sale sul treno ma ha la valigia vuota, un marito non tradisce la moglie anche se va a letto con altre, la culla egoista della depressione, un vecchio padre fa del suo meglio per non piegarsi a mortificare la vita, una mamma più tradizionalista di suo padre e una figlia ancor più rigida della peggior benpensante borghese, una che fugge fiera della sua stupida sicurezza e infondata coscienza. Come un qualsiasi teenager fumato di un qualsiasi centro sociale occupato degli anni novanta.

Il problema per un regista è sempre lo stesso: dove metto la telecamera? Cosa scelgo di far vedere tra tutto quello succede contemporaneamente? Cosa elido? Ed è qui che si capisce che Amodovar si e troppi altri no. Per via di quei battenti sulla porta, di quel quadro sfocato sullo sfondo, per le facce dei protagonisti e l’ossessione per il rosso acceso. Crea un film torbido, sinuoso ed elegante pur senza gli eccessi che lo hanno reso celebre in passato. Lento, certo, ma finalmente l’accento torna sulla trama, cosa che ai nostri giorni è un atto di coraggio perchè, quando non ci si nasconde dietro paraventi estetici, è facile sputtanarsi (con questa chiave di lettura diventa semplice capire tutto sul comportamento delle donne ormai appassite ma non ancora arrese tra i quaranta e i cinquanta).
I cento minuti di intrecci fanno intuire una mente lucida, esperta e una presa di coscienza invidiabile nel raccontare le relazioni. Quanto lume, quanta luce nello spiegare il concetto di tradimento. E’ triste pensare che esista ancora gente che pensa che significhi infilare un pene in una vagina, gente castrata di tradizione orale passata per bocche di nonne morte e preti di periferia. Il tradimento non ha a che vedere col sesso. Altrimenti lo sarebbe anche sorprendere la moglie che si masturba col vibratore o il marito paonazzo di piacere col pene infilato nel tubo dell’aspirapolvere. E’ per questo che il marito della protagonista cade dalle nuvole quando lei sbianca. Perchè il cordone ombelicale lungo una vita non si taglia il giorno delle nozze, e non riguarda la sfera familiare. Sono cose separate, parimenti virtuose e naturali. Il pescatore si dispera perchè sa che lei, femminuccia nevrotica invasata di banalità disneyane, distruggerà la relazione più importante della sua vita.
E’ vero che il regista poi banalizza la relazione madre-figlia suggerendo il cliché di quanto sia impossibile capire l’amore per un figlio per chi non ne ha avuti (come se tutti i genitori amassero o apprezzassero i propri i figli), ma a ben vedere poi usa quel contesto frivolo per evidenziare tutta l’ipocrisia della ragazzina, nella sua ingenua e pomposa illusione di onniscienza. Destinata ovviamente a cadere sotto i colpi dell’esperienza. E’ una figura tipica, è quella che crede di essere profonda e di aver capito tutto dalla vita solo per la continua intensa sofferenza provata nella sua breve esistenza. Nel film è interessante notarne l’ovvio percorso: quando per la prima volta inizia a fare delle scelte da sola diventa il mostro che è sempre stata sotto quella spessa coltre di dolore. E’ il secondo regista di cui mi fido che dice che quello per un figlio è un amore inimmaginabile, appena smetteranno di ripeterlo anche le massaie sovrappeso di trent’anni allora ci crederò.

Un film fatto di idee e concetti che sarebbe bello dare per scontati, o almeno dare per scontato che lo spettatore ci avesse riflettuto su almeno una volta. Ma ad oggi purtroppo serve ancora Almodovar. Per questo mi piace illudermi che teledipendenti, fragili, rigidi ed impauriti guarderanno il film, per lo stesso motivo per cui mi auguro una civiltà più colta e senza dogmi. L’evoluzione dalla scimmia a l’uomo passa per questo regista anche quando, come in questo caso, il risultato finale non è certo un capolavoro.

A proiezione terminata, uscendo dalla sala, specchiandosi sulla porta di vetro nero, un’anziana davanti a me si è aggiustata i capelli con un movimento perfetto (cit.). Posseduta dal tocco gentile del film. E’ già un piccolo bocciòlo evolutivo

Julieta (2016)
Julieta poster Rating: 7.3/10 (759 votes)
Director: Pedro Almodóvar
Writer: Pedro Almodóvar, Alice Munro (short stories)
Stars: Adriana Ugarte, Rossy de Palma, Michelle Jenner, Inma Cuesta
Runtime: 99 min
Rated: N/A
Genre: Drama
Released: 08 Apr 2016
Plot: After a casual encounter, a brokenhearted woman decides to confront her life and the most important events about her stranded daughter.
commenti
 
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  • Stefania
    07/06/2016 at 18:19

    La mia vita è così piena ed importante…non so dove ho trovato il tempo di leggere stronzate. E così mi verrebbe da chiedere , se a dirti che quello per un figlio è un amore inimmaginabile è una massaia sovrappeso over 40 ( quindi appassita ma non arresa) ci credi?
    Poi però- già solo leggere del film e sapere di non averlo visto mi fa sentire parte di quel pubblico idiota- e solo pensare di andarlo a vedere mi fa immaginare parte di una civiltà più colta…quindi evito di andare di battute e mi organizzo per rimediare alla lacuna ( sperando che tu non mi deluda)

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