Oggi, all’ingresso della cittadella del cinema, mi hanno fermato per perquisire la borsa. Era quella della biennale, quella che danno agli accreditati stampa, avevo al collo il pass e stavo passeggiando mangiando avidamente un’ottima fetta di torta al pistacchio. Penso, io sono pericoloso, ma quanto mai potevo sembrarlo?
Dentro c’erano: un maglione, l’astuccio vuoto dei vecchi Ray-Ban che ho perso l’altro ieri, una merendina al cioccolato spappolata, una bottiglietta rabboccata ed un ventaglio rosso. Neanche una misera pistola. Non è stato seccante o sorprendente, sono abituato, con questa faccia da turco che mi ritrovo scelgono sempre me per i controlli “random” all’aeroporto. E non posso certo pretendere maggiore originalità (non dico pensiero creativo) dalle teste pensanti adibite ai controlli anti-mediorientali. La barba, l’abbronzatura salentina di fine agosto… che dire? Almeno son stati gentili, mi hanno infatti chiesto se preferivo che usassero la vasellina. Ho rifiutato.
In verità c’è si un problema di sicurezza alla Mostra del Cinema, ma non è certo il terrorismo e non si risolve con quei tre nuovi scomodissimi Checkpoint-Charlie pattugliati da giovanotti col mitra che ti obbligano a fare il giro del mondo per andare all’imbarcadero. Il pericolo di cui il responsabile della sicurezza dovrebbe preoccuparsi è il lasciare centinaia di persone in coda sotto il sole a più di trenta gradi – senza un briciolo di ombra – davanti alle porte della nuovissima Sala Giardino, quella inaugurata con fierezza come la sala degli appassionati di cinema non addetti ai lavori. Devo ammettere che lo ammiro, perché assumersi il rischio di leggere nei giornali del giorno dopo di un vecchio colto da malore stringendo il biglietto d’ingresso fradicio significa avere due palle grosse così. Io son talmente smidollato che se fossi al suo posto mi metterei in salopette a distribuire bottigliette d’acqua col terrore negli occhi e, se i fondi istituzionali non me lo permettessero, costruirei un gazebo a mie spese e mani nude.
Ma perché parlare male della morte in un periodo storico di pericoloso sovraffollamento mondiale come questo? Suvvia, parliamo di cinema!
Brimstone di Martin Koolhoven
L’America dei recinti (anche sociali), dei Ranch, delle strade di fango, dei cavalli, della religiosità cieca e delle questioni che si risolvono coi fucili. Un western senza cowboy che inizia come un revenge-christian-movie senza grande ritmo e finisce come una commedia splatter-demenziale che prende la scusa dell’ottusità religiosa per sfogare l’horror e garantire qualche soddisfazione, un bel po’ di mugugnii e qualche risatina in sala.
La lunga strada di violenza drammatica dei primi due capitoli si trasforma in trash nei secondi due e si manifesta in eccessi al limite della comicità involontaria, ma ha ancora quel briciolo di credibilità per ricordare grossolanamente (se mai ce ne fosse ancora bisogno) quanto l’unione tra ignoranza e religione sia una bomba che continua ad esplodere da sempre.
Fondamentalmente una puttanata da 5 stelle su 5
Sarà stato il primo pomeriggio postprandiale ma da Home di Fien Troch ne sono uscito esausto dopo una mezz’oretta. Ricorda un po’ la trama del vecchio telefilm per adolescenti The O.C., solo senza colonna sonora, statico e senza che mi abbia destato il minimo interesse. Sono resistito così tanto per via della madre addolorata che ama masturbare il figlio (ricicleranno lo stesso fallo di gomma anche per una seconda scena di sesso: fatto l’investimento al sexy-shop tanto valeva sfruttarlo) e per via di un continuo equivoco tra la MILF bionda e il teppistello, che ad ogni scena le chiede: “cosa vuoi da me?”
Ma alla fine non tromberanno mai.
Sconsigliato!
La tristezza rimbalza via all’idea del film che ho in programma dopo. Avrò l’onore di vedere al cinema la ri-masterizzazione in alta definizione di Stalker. Ne parlo esaurientemente qui, ma alla fine non mi si scolla il ricordo di un film suer-valutato.
Oggi marca male, ma so che quando i giochi si fanno difficili occorre tornare alle radici e ai vecchi amori, alle sicurezze capaci di garantire gioia: il cinema asiatico. Entro quindi a vedere Miljeong (the age of shadow): spionaggio nippo-coreano ingarbugliato e ambientato nel periodo in cui tutti giravano in camicia e panciotto. Tecnicamente ineccepibile ma gelido e distante. Non c’è nemmeno l’ombra di idee o immagini di spicco, se non una lunghissima (quasi comica) schiaffeggiata punitiva.
Doppio, triplo e quadruplo gioco cosi dannatamente interessanti da farmi preferire la quotidiana pallina di stracciatella dopo solo un’oretta. Pesa troppo l’incapacità di costruire dei personaggi a cui affezionarsi e installare cosi nel pubblico la curiosità di sapere come tutto possa finire.
Questo film ci insegna che anche una doppia spia ha una sola patria
Psicologicamente abbattuto mi gioco l’ultima carta per provare un briciolo di gioia, Dopodiché l’unica soluzione diventerebbe una striscia di coca. Urge quindi tornare bambino. Entro in sala per la proiezione del film d’animazione 3D The secret life of pets. Un divertente cartone animato per ragazzini che, nel primo e ultimo quarto d’ora, riesce pure a divertire gli adulti. Mi ha sorpreso la cura nei dettagli, è bello vedere come ogni anno la grafica digitale faccia un balzo in avanti. Certo, alla fine è il solito film tenerone che educa ai buoni sentimenti, ma è un genere che gode ancora di grande successo. Farà vendere cuccioli come pop-corn questo inverno. E mi ha fatto felice.