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Venezia 71 – Il diario delle pecorelle – Parte 3

di il 30/08/2014
 

Con la certezza di aver visto ieri l’apice della Mostra nel Im keller di Ulrich Seidl, contro ogni ragionevolezza, spingendo le pecorelle recalcitranti e contrarie, sfidando l’aureo motto ‘non l’ho visto e non mi piace’, decido di portare il gregge a vedere Anime Nere di tal Francesco Munzi. Mafia movie d’autore, sulla carta, dovrebbe parlare del sanguinario scontro di due famiglie della ‘ndrangheta tra i grigi paesaggi d’Aspromonte, ma gli ammazzi sono fuori scena, la tensione assente e il racconto si concentra tra le differenze di carattere dei fratelli protagonisti. Il malumore serpeggia tra le pecorelle che all’ordine di Nerina, sprezzanti, si liberano senza ritegno, dopo la prima mezz’ora, delle loro palline maleodoranti per poi addormentarsi.
Io non voglio sapere di chi sia figlio, amante, protetto questo Munzi e non indagherò. Se vuole dirigere i Montalbano, lo faccia. Invitarlo in concorso a Venezia è un insulto al nostro paese e alla nostra intelligenza e se non gli abbiamo mandato Luca Brasi è stato solo perché Al Pacino, contattato all’Excelsior, si è opposto.

 
Molto meglio, ma ci voleva poco, Binguan (The coffin in the mountain) dell’esordiente Xin Yukun, una commedia nera che ha per protagonista un corpo carbonizzato, una bara e un piccolo villaggio montano nella provincia di Shenzen.

Con un montaggio a flashback estremamente calibrato e intelligente, il giovane regista costruisce una storia originale e dei caratteri pieni e esilaranti, nel loro dibattersi tra tradimenti, sogni, miserie e un destino burlone che li vuole in perpetue tribolazioni.
Non tutto è perfetto, nell’elaborato meccanismo narrativo, ci sono lungaggini, scene inutili che appesantiscono la visione, comportamenti bizzarri non giustificati. L’insieme, però, è originale e solido. Le pecorelle, superata la critica fase di sonnolenza post-brucale, si sono divertite e hanno belato d’approvazione al regista in sala al termine della proiezione.

All’insegna della terza età i due film successivi.

Il primo, Mita Tova, dei registi israeliani Sharon Maymon e Tal Granit, affronta con toni leggerissimi e divertiti, il dramma dello stato della sofferenza degli anziani e del loro diritto all’eutanasia.

Un manipolo di buffi ottuagenari di associa per aiutare un amico malato terminale a togliersi la vita.
Per farlo, uno di loro costruisce un rudimentale ma efficace marchingegno che consente, al paziente stesso, di attivare le due iniezioni letali che metteranno fine alle sue pene. L’idea ha successo e presto si dovranno confrontare con altre richieste di anziani nello stesso stato.
Tra gag, canzoni in chiave musical e qualche lacrimuccia, il film scorre veloce e genera risate e buonumore. Le pecorelle si sono scompisciate, specialmente per i siparietti col poliziotto dal cuore tenero.

 

Si prendano un romanzo scritto da un settantenne (Philiph Roth), un regista settantenne (Barry Levinson) e un protagonista coetaneo dei due (Al Pacino), si aggiungano un po’ di topoi sulla vecchiaia: lo svanire dei desideri, della mente, del peso sociale; si aggiunga il sogno proibito dell’amore di una giovane donna ed ecco The Humbling, commedia amara che regala qualche frase di buona scrittura, una regia un po’ retrò e il solito Al Pacino a gigioneggiare in un ruolo fatto apposta per questo: quello di un attore di teatro che non riesce più distinguere tra finzione e realtà. Curioso che dagli States arrivino in contemporanea due film con quasi lo stesso plot (l’altro è Birdman). Forse, dato l’invecchiamento del parco attori hollywoodiani e lo scarso ricambio generazionale, si vuole creare un genere nuovo: il gero movie. Così la pensa anche Saggina, la più anziana delle pecorelle, che ha sempre avuto un debole per Al Pacino, fin dai tempi in cui brucava margherite, e che si è molto immedesimata con la protagonista femminile.
E ora a nanna che domattina si inizia alle nove.

commenti
 
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  • Michele Arienti
    30/08/2014 at 17:51

    Io non voglio sapere di chi sia figlio, amante, protetto questo Munzi e non indagherò. Se vuole dirigere i Montalbano, lo faccia. Invitarlo in concorso a Venezia è un insulto al nostro paese e alla nostra intelligenza

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