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#Venezia77 – I racconti di un vecchio Lupo di Laguna alla 77. Mostra del Cinema di Venezia

di il 03/09/2020
 

Leggo che il primo film di questa difficile edizione 2020 inizia alle 9.15. Non c’è problema.
In un paio di secondi elaboro il piano d’azione, son 15 anni che frequento più o meno ossessivamente la Mostra del Cinema di Venezia e abito a 12km in linea d’aria dal Palazzo del Cinema, una vecchia volpe come me sa come muoversi:

  • sveglia alle 6.30
  • partenza alle 7 in punto
  • parcheggio furbo gratuito a una fermata da Piazzale Roma
  • Bus e Vaporetto, il numero 6, l’unico che in poco più di una ventina di minuti è all’imbarcadero del Lido evitando di fare prima il giro del mondo a favore dei pochi turisti est europei tossicchianti.

Sono lucido e rilassato, sono pronto. Ho già prenotato il posto in sala via web, ho la bottiglietta d’acqua, il brufen 400, gli occhiali da sole, il collirio e i viveri d’emergenza, mica per niente gli intimi mi chiamano da sempre “lo Schiacciasassi della Laguna”. Posso andare a dormire tranquillo, domani si inizia.

Arrivo alle 7.30 al parcheggio con un quarto d’ora di ritardo, il battello parte ai 40, non riuscirò mai a prenderlo, inizio a sudare, guardo su Google Maps il percorso alternativo più veloce ma l’instancabile e lungimirante azienda dei trasporti veneziana ha smesso di fornire gli orari dei vaporetti alla più diffusa app al mondo, sento i nervi a fior di pelle. Smonto in Piazzale Roma agitatissimo, in stato confusionale, è tardi, il tabellone delle partenze snocciola tutti i numeri e le lettere dell’alfabeto tranne il 6. Che fine ha fatto il 6? Non c’è davvero o è solo il panico? O è forse quel velato, leggerissimo accenno di autismo mai veramente trattato? Entro cosi, dubbioso, sfatto e carico d’angoscia nel primo pontile che cita il Lido in nero su sfondo giallo e attraverso il tornello. Il prossimo 5.2 parte alle 8.10 e ci mette 50 minuti. Cinquantaminuti. Sono in trappola. Sento il primo crampo al cervello, segno distintivo di un mal di testa debilitante imminente.
Dopo aver preso un nuovo bus per la cittadellla del cinema e ritirato l’accredito si son fatte le 9.45. È già piena mattina e sono distrutto.

12 km in 3 ore e un quarto, temo che nemmeno quest’anno Venezia vincerà la medaglia d’oro per il trasporto pubblico.

Il primo film ora è diventato quello delle 11, tale Conference, l’unico che nel programma ufficiale non ha il nome del regista e tanto meno una sinossi. La giornata si fa in salita.

È un film Russo con una manciata di scene iniziali memorabili e soprattutto dei personaggi iconici. Son certo che il viso della protagonista resterà nei miei incubi a lungo. Immagini evocative, silenzi dolorosi, grande scuola. Dopo dieci minuti pensavo di avere trovato già il Re della Mostra, invece la Gioia si spegne nel giro di venti minuti in un lungo e lento documentario ben poco coinvolgente in cui i protagonisti raccontano per quasi due ore i dettagli dell’attentato al teatro Dubrovka del 2002. Inquadrati di faccia. Niente più che passare il tempo a leggere una pagina Wikipedia. Con tutto il rispetto per la mia adorata cinematografia russa, sembrava di assistere ad una lunghissima puntata di Pomeriggio 5 con Barbara D’Urso.
Conference è il perfetto esempio su come buttare nell’immondizia un film con altissima potenzialità inespressa. Peccato.

Proseguo poi con la vera impresa del Festival. Anche quest’anno ho una sfida: riuscire a guardare un film italiano dal primo all’ultimo minuto senza dare di stomaco. Tentativi come questi, più che atti eroici, son gesti artistici, tripudi alla resilienza, disciplina. Ho cosi visto Lacci di tale Luchetti che, per quanto fatichi a crederlo, temo sia pure stato scelto come film d’apertura. Una sofferenza dal primo all’ultimo minuto. È il solito, ennesimo, dramma familiare in stile telenovela, virus che contagia a ammorba da decenni quasi tutta la cinematografia italiana. Roba di coniugi avanti con gli anni che alzano la voce in cucina. Vergognoso. Ci sarà rimasta male Margherita Buy a non essere stata chiamata per interpretare la moglie nervosetta, ma mica può recitare in venti film all’anno.

Dopo questa tortura il livello di mal di testa è arrivato in zona nausea

Non rimane che rimettersi alla benevolenza del cinema asiatico, il mio più caro amico che, anche quando non fa scintille, ti accoglie, ti carezza e ti fa capire che vale ancora la pena andare avanti. Vedo cosi Night in paradise. È un meló in tutto e per tutto, puro, mette le caselle al posto giusto e confeziona un prodotto spendibile per il Grande Pubblico. Ci sono le gang, c’è il lupo solitario, c’è la storia d’amore impossibile, c’è la tragedia e ci sono le musiche commoventi. Questa sua forza conservatrice è però anche la sua debolezza, perché di originale non ha nulla. Si eleva dalla media per scene di violenza di altissima qualità. Lente, dettagliate e crude.
I 10 minuti girati in sauna, con tutti quei giovani coreani nudi e muscolosi lo fa diventare il film più sexy della Mostra.

Domani non potrà che andare meglio, anche perché, per ridurmi così, tanto valeva fare altre scelte nella vita, tipo fustigarsi quotidianamente o sposarsi, fare figli e poi campare per pagare il mutuo di una villa da due soldi in campagna.

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