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#IFFR2020 – ANGYLOVE E I TULIPANI, Parte 2

di il 30/01/2020
 

VITALINA VARELA di Pedro Costa
Immagini potenti di una bellezza cristallina danno origine ad un film difficile ma splendido.
Vitalina Varela arriva in Portogallo da Capoverde pochi giorni dopo la morte del marito. Più che Lisbona, è proprio il quartiere di Fontinhas, quello degli immigrati capoverdiani, ad essere il protagonista della pellicola.
Colori caldi e sontuosi che formano chiaroscuri, nei quali i personaggi entrano come fossero delle ombre.
L’immigrazione è vista come lo smarrimento della propria anima e la cancellazione della propria identità: Vitalina è una maschera di dolore, stremata dalla vita più che dal recente lutto. E’ ella stessa a raccontarci la storia del suo matrimonio, un po’ come se fosse un monologo teatrale.
Traspaiono un rigore che non lascia via di fuga allo spettatore e una trama scarna al servizio delle immagini.
Bellissimo ed estenuante.

Albert Sierra regista di Libertè

La prima notizia drammatica del Festival di quest’anno è che hanno tolto il piccolo chiosco dei vodka tonic dentro al Cinerama, mia tappa quotidiana dello scorso anno. Cose come questa possono risultare assai difficili da elaborare. Entro la giornata devo trovare assolutamente un sostituto. E che sia degno.

LIBERTE’ di Albert Serra
Libertè viene annunciato dal regista stesso (che fa un piccolo show prima della visione) come un film che prosciugherà del tutto lo spettatore. Beh trovo sia stato ottimista, a meno che non parlasse della pazienza.
Il film è sicuramente potente, ma il risultato non è per niente convincente.
In un periodo storico vicino alla rivoluzione francese un gruppo di persone si ritrova in un bosco (ambientazione splendida) e il motivo dell’incontro è il sesso. Non incontri sessuali di normale fattura, ma riferimenti chiari e spudorati al Marchese De Sade e quindi umiliazioni, dolore, amputazioni: Trasgressione. Per la prima metà mi ha coinvolto, mi sono sentito come quando andai a vedere Dogville per la prima volta ma Serra non è Von Trier (forse gli piacerebbe) così il film si sgonfia in ripetizioni continue di amplessi mimati. Se vuoi stupire e avvicinarti alle 120 giornate di Sodoma ti devi esporre, non è che basta far vedere qualche tetta (tutte molto belle, tra l’altro), una tipa che piscia o dei peni ben poco eretti. La scelta è tra mimare ogni cosa oppure mostrare tutto, compresi cazzi duri, eiaculazioni, coprofagia e necrofilia. In questo è stato un film pavido e noioso: un non stop di scene ripetute e risatine tra il pubblico. Tenere l’equilibrio in argomento sessuale è cosa assai ardua, ed è sufficiente un minuto in più per diventare ridicolo (e qua i minuti erano infinitamente più di uno).

Marco Berger regista di El Cazador

TAL DIA HIZO UN ANO di Tiziana
Iniziamo col documentare l’unica cosa positiva di questo film: dura 71 minuti.
Immagini buttate a caso per una storia incomprensibile, cioè c’è una mamma tedesca con due gemelli che va in Spagna in una tenuta. Tutto il resto è incomprensibile, c’è qualche immagine dall’alto, ogni tanto una tipa molto maschile che riempie una piscina, dei ragazzi che si smarriscono in bicicletta.
La mia domanda è: “Come fanno questi registi/e a trovare qualcuno che produca questo genere di film?”. Mi ha stupito che pochissime persone abbiano lasciato la sala anzitempo, mistero poi risolto una volta accese le luci: dormivano tutti.

EL CAZADOR di Marco Berger
Io Berger lo amo ed è cosa nota che si sa perché recensisco sempre benissimo i suoi film. Che in realtà si assomigliano tutti, o meglio lo facevano prima di questo, perché il regista cambia stile, cosa positiva considerato che, anche se esteticamente è sempre un piacere per gli occhi, il bisogno di un rinnovamento si sentiva.
Innanzi tutto c’è una storia, una trama vera e propria (non sempre ben scritta, c’è da dire), che racconta un argomento molto delicato da un punto di vista originale: il sesso tra e con minori, l’abuso, il mercato dei video nel deep web. Come sempre ottima la scelta degli attori, anche questa volta molto espressivi (connotazione obbligatoria, considerato che il regista adora fare primi piani estremi).

Finisce il film e con i miei compagni di avventura prendiamo un treno che ci porta ad Amsterdam per vedere una performance di arte cinetica: movimento di luci legato al suono di musica messa da un DJ. Io sono un provinciale quindi resto sempre incantato davanti a queste novità, ho fatto un qualche passo di danza quando la musica si è fatta techno, ma mi è venuto un po’ male al collo per aver tenuto per più di un’ora la testa alzata. Ma ero contento.
Microballetti per tutti!

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