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#milanofilmfest25 – Un ring è per sempre, BLAZING FISTS di Takashi Miike

di il 06/06/2025
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“Parlar di cinema per non parlar d’amore”.

Non immaginavo, considerata la storia di criminalità giovanile, risse a scuola, riformatorio, guerra tra bande, che l’avrei trovato pure qui. E invece si. Amore e amicizia leale. Quella tra Ikuto e Ryoma, che si incontrano in una stanza del riformatorio, quando Ikuto per un atto di gentilezza difende Ryoma proteggendolo dal minaccioso Vecchio, un prigioniero anziano che è subito pronto ad accogliere il novellino nella più ospitale delle maniere. Per la proprietà transitiva, divento tuo amico se riempio di botte il tuo nemico. Così nasce questa amicizia viscerale tra i due ragazzi esuberanti che, appena usciti dal riformatorio, continuano il percorso riabilitativo e si impegnano a piegare acciaio, fianco a fianco, come lo sono stati in quei mesi dietro le sbarre. Piano piano, cresce in loro l’idea di diventare dei combattenti professionisti, un buon modo in effetti per sfogare tutta quella rabbia. Ikuto di rabbia in effetti ne ha molta, montata nei mesi in cui è stato incarcerato ingiustamente nello squallido riformatorio per uno scambio di persona per un crimine da lui non commesso. La stessa rabia cresce ogni volta che pensa al padre carcerato, anch’egli accusato ingiustamente, di omicidio però. Lo stesso disagio lo sente quando la gente gli rivolge sguardi di disprezzo considerandolo feccia, figlio di un assassino. Una valvola di sfogo per tutto questo rancore la trovano in una palestra di kickboxing, che iniziano a frequentare assiduamente, motivati dalla selezione per l’accademia Breaking Down. Al riformatorio infatti aveva fatto loro visita un maestro di arti marziali, nonché fondatore della accademia, Mikuru Asakura, che durante l’incontro aveva portato il suo buon esempio, sostituendo i loro sogni infranti con motivazione e desiderio di una vita con riscatto: si può pensare ad una esistenza fuori dal carcere minorile, la si deve pensare. i pomeriggi trascorrono, tutto sommato sani, tra le mura della palestra.

L’Allenatore di kick è un vecchietto ormai raggrinzito, esperto di quello sport (e di vita), che sa capire, grazie ad un solo sguardo, quando è giunta l’ora di bloccare il round, giusto un attimo prima che la vita stia per uscire dal combattenti sul ring. In uno dei combattimenti tra allievi della palestra, Ryoma, ormai esanime, sta per abbandonare il ring, quando sente il sostegno di Ikuto che gli consente di rialzarsi e prendersi il riscatto della vita con un ultimo pugno definitivo che segna la capacità di farsi valere, quella che poi non ti toglie più nessuno. Durante il duello successivo, in quello stesso ring è un urlo d’amore a bloccare il combattimento. L’amata vuole salvare Jun, avversario sbruffone, dai colpi ben assestati di Ikuto. Questa ragazza, nella sua uniforme immacolata da liceale, a bordo del ring squarcia lo schermo con questo grido di salvezza e, a fine combattimento, prende un momento per andare a ringraziare colui che ha graziato il suo amato. Ikuto si riconosce negli occhi del suo avversario Jun e rivede la sua stessa voglia di lasciarsi cadere nel baratro, pur senza mai precipitare. in quello sguardo riconosce la sua stessa foga, lo stesso fuoco, la stessa profondità sull’orlo del precipizio. E’ forse per questo motivo che, nel duello definitivo che si svolge in strada con una gang malavitosa, si offre di aiutare il suo nemico sul ring Jun, che diviene alleato nella strada.

Questa pellicola è così giapponese nelle cerimonialità degli incontri. Tutti i combattimenti (per i quali ammetto ho dovuto chiudere qualche volta gli occhi – c’è una buona dose di splatter, sangue e denti ed arti rotti) rispecchiano un ferreo codice d’onore, per cui: ci si scusa e si ringrazia prima delle botte e ci si finge a terra riconoscendo il valore dell’avversario. Nel ring, come nella strada, amicizia e amore definiscono i destini. L’amore per un ragazzo, l’amore per un figlio, l’amore per un amico.

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