Non è facile disturbare la mia inquietudine costante, dopotutto sono uno abituato ad iniziare la giornata facendo colazione con sangue infetto e nervetti bolliti, steso su cadaveri di africani tagliati a pezzi, a mo’ di Cesare mentre gusta lentamente, uno per uno, gli acini d’uva nella tipica iconografia dell’antica Roma; ma questo Three Husbands è riuscito nell’impresa, con mia Gioia immensa.
Inizialmente scambiato per il solito poverty porn asiatico, tra operai sottopagati, spazzatura e puttane obese, confuso poi col più classico dei Film Tette®, è arrivato invece ad essere un’opera estrema, sensata, provocatoria, esplicita e cruda.
L’attrice protagonista, perennemente nuda, contorta in atti sessuali sempre più espiciti e sanguigni, è la moglie-prostituta ritardata svenduta a clienti, passata di marito in marito costantemente violentata. Un oggetto calpestato, consenziente, incosciente. Brutalizza sé stessa, chi gli sta vicino e gli occhi dello spettatore. Metafora di una Cina (se così si puo dire) meretrice, bramosa, distante, fredda, ma fatta di carne e ossa da spezzare e digerire. L’abuso come normalità è un tema molto caro alla Cina del 2019.
Il regista gioca divinamente col colore dell’immagine, con le metafore – forse ritrite – e con quel senso d’impotenza che giustifica ogni azione, anche la più abominevole, rendendola plausibile, a volte necessaria. Gioca, si, ma non gioca sporco, è complice, eccede nel mostrare i brandelli di vita pur di renderli originali e interessanti. Parlo di scene spesso ai limiti del sopportabile come quella in cui per soddisfare l’incolmabile desiderio della puttana/nazione le fa infilare un pesce rosso tra le labbra uterine, la fa penetrare dal moncherino che uno dei suoi mariti ottantenni ha al posto del braccio, la fa scopare alla pecorina dall’amante che tiene in braccio il figlio di due mesi in una scena indimenticabile e infila due profilattici (meglio essere sicuri) in un’enorme anguilla viva per farle godere poi il suo più potente orgasmo.
Certo, c’è anche chi in passato ha dato di più, con risultati migliori, come quel maledetto genio di Wakamatsu negli anni ’70 ad esempio, ma chi, oggi, può permettersi di azzardare tanto lavorando sul corpo visto come costruttore di vita/piacere e allo stesso tempo distruttore di vita/piacere?
Dopo una giornata soleggiata fatta di film di altissima qualità, una sequenza che, dopo undici anni di Far East film festival, mi sembra più unica che rara, concludere con questo brillante pugno in faccia è stato commovente. Cosa si può chiedere di più? Molti risponderanno: “Annoiarsi ancora meno”.
Vengo a sapere solo dopo la visione che la pellicola è stata presentata ma rifiutata dalla selezione per la prossima edizione della Mostra del cinema di Venezia quando non avrebbe sfigurato in concorso in nessuno dei più grandi Festival internazionali. Anche solo per il curriculum del regista. Una scelta inquietante e difficile da digerire. Viva Udine e il suo bellissimo Feff pronto a correggere decisioni così strampalate.