Il Reverse Engineering è quel procedimento in cui – alla stregua degli appassionati di rompicapo – il Curioso® scompone, classifica e mette a nudo un meccanismo a lui ignoto per comprenderne il funzionamento. Ne siano d’esempio l’Hacker quando tenta il Jailbreak di PlayStation®, l’archeologo alle prese con geroglifici non catalogati o l’elettricista catturato nell’incubo di modificare l’impianto di una casa di campagna anni ’50, quando si edificavano nel tempo libero, dopo una seria bevuta tra amici. Lo stesso fa l’appassionato d’Arte con le opere che ha il privilegio d’osservare. In platea occorre impegnarsi, mai fidarsi vista la quantità sempre crescente con cui se ne sfornano: non serve un esperto per immaginare che, il più delle volte, in realtà, il privilegio è solo per chi si agita sul palco.
Prendiamo, ad esempio, questo spettacolo targato Biennale di Venezia, proposto nello storico Teatro alle Tese, all’interno dell’imponente Arsenale, un contesto che definire affascinante è riduttivo. Parte da una vetta estetica tra le più nobili e aggiunge il nome altisonante di Willem Dafoe, di passaggio a Venezia in qualità di Direttore del settore Teatro della Biennale. Si poggia in un palcoscenico d’impatto, graffiante, coperto di cocci e bottiglie annerite. Aggiunge in primo piano il presagio di una sedia a rotelle, zattera pronta a schiantarsi in questo mare cupo e pericoloso. Le aspettative tracimano.
Insomma, il divo®, il contesto®, la foto®:
A questo punto viene da chiedersi: ha davvero senso dilungarsi nel commento, o anche solo aspettarsi dei contenuti? Nessuno, nemmeno uno tra il pubblico, è li per quelli, ma ci provo lo stesso:
“Meno è meglio”
“Grazie a Dio ci sono cose che si possono aggiustare”
“Piccoli passi, grandi passi”
“Problemi di stomaco”
“Più birra!”
“Non ballare se puoi camminare”
“Pollo grigliato, mmmmm…”
“Venerdì viene prima di giovedì”
“Domani era ieri”
“Domani è sempre meglio”
“Mare di un blu profondo, ma più profondo”
“Ricordati di dimenticare”
“Fuori moda è di moda”
Hey, ChatGPT, scrivi 640 aforismi motivazionali, filosofici e giochi di parole che ri-echeggino vecchi luoghi comuni stracotti o detti popolari girati al contrario. File –> Stampa. Quanto ci vorranno? Tre minuti in tutto, forse? Mescola, leggi e ripeti quattro volte. Fine.
Immagino che il progetto o l’esperimento, come amano chiamarlo, si basi fondamentalmente sul possibile dialogo casuale che può in qualche modo instaurarsi all’interno di questo spericolato ping-pong letterario, in cui si alza un cartellino e lo si legge alla velocità della luce, incalzato del prossimo. Purtroppo, le frasi s’incastrano malamente, il dialogo funziona solo in parte e molto raramente. Tocca a me ora alzare un cartellino altrettanto banale: “Un buco nell’acqua”. Il baraccone procede barcollante in equilibrio delicatissimo. Si regge sulla punteggiatura, sulle suggestioni e sulle sfumature, come a ribadire che la realtà è solo quella nella propria testa, ed è una fortuna perché altrimenti, se scavassimo e inventariassimo come farebbe il Curioso®, resterebbe poco/nulla.
Cosa salvare quindi di questo scellerato approccio artistico che nasce e vive di atmosfere? Beh, il suo indubbio potere ipnotico, certo, la brevità, ovviamente, l’urgenza della recitazione, la bella prova in inglese di Simonetta Solder che, caso più unico che raro, non mi ha fatto provare imbarazzo per la pronuncia maccheronica. Bello anche il tentativo di togliere allo spettatore il tempo di pensare e quindi banalizzare il messaggio schiacciandosi sul senso più che sul segno, quest’ultimo il vero punto forte del progetto. Più che in scena, l’eterna lotta tra forma e sostanza era interna.
Quanto è bello chiudersi per un momento in un luogo sicuro in cui potersi permettere il lusso di non pensare?
Brilla sopra ogni cosa lo slide-show del divo®. Per noi mortali veneziani è stato bello vedere un dio in carne e ossa: il re Mida del cinema che ha già fatto e detto tutto, sulla vetta da decenni. Memorabile vederlo li a pochi metri di distanza, che si diverte ancora facendo quello che sa fare meglio. Gigantesco e impeccabile. Mi domando, però, in un attimo di realismo: se non fosse già a Venezia, sarebbe partito dalla sua ipotetica villa hollywoodiana per leggere centinaia di cartoncini alla velocità della luce a un centinaio di turisti? Mi chiedo anche, senza di Lui, il pubblico avrebbe applaudito o, ancor prima, comprato il biglietto?
Ci sono cose che si possono fare solo in un modo e solo in un posto e questo spettacolo è decisamente una di quelle. In qualsiasi altro posto e in qualsiasi altro modo l’avrei odiato. Caro Willem, stavolta hai voluto vincere facile, mi tocca pure leggere l’ultimo cartellino: “tanto fumo e poco arrosto“.
PS Non ho resistito alla tentazione di chiedere davvero a ChatGPT di replicare lo show, i risultati sono curiosamente sovrapponibili:
“Chi tardi arriva trova parcheggio sotto casa.”
“Meglio un dubbio altrui che cento certezze tue.”
“Non tutto ciò che luccica si lascia lucidare.”
“Guardi l’erba del vicino più spesso della tua.”
“Chi dorme non puzza di mare.”
“Il tempo è galantuomo ma ti presenta il conto.”
“Ride bene chi ride adesso.”
“Chi fa da sè si licenzia da solo.”
“La gatta apre un food blog.”
“Aiutati che il cielo ti osserva curioso.”
An Experiment – ChatGPT, 2025