La Biennale Arte è una festa dell’intero centro storico. Si dirama in tantissimi eventi, installazioni e feste sparpagliate ovunque, la maggior parte delle quali ad esclusivo consumo di un’élite variopinto-altolocata non ben specificata nè conosciuta. Venezia, sinteticamente, a inizio maggio, si riempie di inviti ed invitati.
Così, qui, davanti al mio vecchio-fidato notebook, mi domando: “Come si fa a scrivere un articolo su di un’esposizione che per essere visitata chiede almeno tre giorni pieni?“. Urge porsi dei limiti e scattare quindi un bokeh in grado di far risaltare un soggetto rispetto ai tanti sullo sfondo, altrimenti rimarrebbe tutto fuori fuoco. Il paletto da imporsi non può che essere quello di dedicarsi alle opere di maggior interesse soggettivo, installate esclusivamente nei luoghi classici in cui si svolge il concorso, cioè i Giardini e l’Arsenale: è qui che – tranne rari exploit – si tirano fuori le armi pesanti.
Mi addobbo col solito kit di quando vado in Missione©: borsetta chic di qualche festival cinematografico, bottiglietta d’acqua, Red Bull, neo-Optalidon 125mg, penna, Reflex e viveri d’emergenza.
Il secondo giorno da inviato stampa alla vernice, ovvero la pre-apertura (subito prima dell’invasione dei turisti), ero terrorizzato dalle impressioni del primo: l’intero baraccone mi era sembrato più che altro una sorta di club privè “di e per” esteti-vacui-hypster-omosessuali-fichetti interessati più che altro a 1) bere/mangiare gratis al buffet 2) vestirsi in maniera buffa 3) tentare di fare all’amore e 4) mendicare qualche gadget glitterato. Ricordo una massa incredibile di persone, mezze imbucate, ad intasare l’esposizione. Avrebbero potuto essere a Porto Marghera (VE) e non si sarebbero accorti della differenza, sarebbe stato solo meno “cool” da dire in giro, rovinando alla base la motivazione dei più. Poi le cose hanno preso un’altra piega, l’entusiasmo per la qualità delle opere ha fatto passare in secondo piano tutto il resto. Mi auguro comunque che in futuro vengano organizzati spazi e giorni dedicati solo agli accreditati stampa, un po’ come accade alla Mostra del cinema di fine agosto; lo scrivo forte dei 50 metri di coda all’ingresso “inviti” rispetto a quella pressoché vuota dedicata alla stampa. Buon per me, avevo pensato ingenuamente.
Sono vent’anni che frequento gli eventi legati alla Biennale di Venezia e ci sono due trend in crescita: 1) la videoarte e 2) la moda di allungare le code centellinando gli ingressi alle attrazioni. Se il primo è la chiave d’interesse per un sito come Cricchetta.it impegnato principalmente a promuovere la settima arte, il secondo mi ha ricordato un po’ quello che fanno le grandi firme negli outlet di “alta moda”, miele per russi, albanesi e cinesi. Quest’anno hanno cavalcato l’onda principalmente il mesto padiglione Venezia, il superfluo padiglione Gran Bretagna, l’interessante padiglione Israele e il bel padiglione Francese: fermo voler nel voler sfiancare fuori di sé file di 2-3 ore per tutti e tre i giorni. Il mio consiglio agli organizzatori è quello di fornire i padiglioni di un distributore di numeri come fanno al banco degli affettati al supermercato: sarebbe una bella metafora sul carnaio umano presente, eviterebbe di far venire i piedi piatti alla gente ferma in coda e diminuirebbe gli insulti/aggressioni fisiche a quelli che provano a fare i furbi saltandola. La soluzione è semplice ed economica, solo Israele ci è arrivata, confermando il solito stereotipo sugli ebrei; ho preso il mio numerino e, nell’attesa del turno, son riuscito a fotografare altri 5 padiglioni, ottimizzando perfettamente i tempi.
– I Peggiori Award®
Questa del 2019 è una tra le più belle edizioni di sempre. Ciò ovviamente non ha impedito al brutto/superfluo/poco interessante di infiltrarsi comunque.
Rovistando in questo bidone, il premio alla peggior installazione artistica va alla Romania: hanno usato il padiglione per costruire uno stagno in cui i visitatori possono gettare monetine per una raccolta fondi. Gruzzolo da spendersi poi a novembre come verrà concordato su capitalpool.net. Per l’artista questo Canal Grande in miniatura rappresenta l’apoteosi del socialismo in Romania e più in generale le trasformazioni sociali. Spero almeno abbiano messo il veleno per le larve nell’acqua stagnante, non vorrei che le zanzare tigre venissero ad infastidirmi ai Giardini per colpa loro questa estate. Certo, non era l’unica cosa che hanno portato a Venezia, l’altra opera era la texture grigia sulle pareti. Ho scelto la Romania solo perché ritengo che il padiglione della Germania fosse semplicemente non finito ma, se la Merkel mi garantisce che quello che ho visto è il risultato di ciò che l’artista aveva in mente, allora questo ambìto premio va per direttissima a Berlino.
Vince il premio come installazione più inutile, superflua, fuori fuoco e fuori tema quella della barca dei migranti all’Arsenale. Portata direttamente dai fondali che separano la Libia dall’Italia. Capisco la contingenza, la circostanza, l’urgenza elettorale, il momento storico e l’attualità, ma è più che ovvio che quella barca squarciata è e non può essere considerata altro che una provocazione politica in cui la componente artistica conta meno dei titoli sui giornali tanto bramati. Capisco che l’arte sia anche un mezzo per lottare, un’arma bianca non violenta capace di aprire gli occhi ai popoli quando il mondo gira terribilmente storto, come in questo 2019, ma stavolta l’intento sembra essere terra-terra, molto più pratico che filosofico/teorico. La ritengo quindi una nota stonata di dubbio gusto, pur odiando al tempo stesso la situazione sociale (e quindi politica) attuale.
L’ultimo premio dei peggiori®, quello per l’ipocrisia, va a Facebook, uno dei social media sui quali Cricchetta.it condivide i suoi contenuti. Non più di una settimana fa, un software automatico col cappellino da vigile urbano ha deciso di censurare il post in cui mostravo uno dei video più disturbanti ed inquietanti dell’intera esposizione, dove una donna-alieno semi rasata, coperta di sangue si contorceva in una danza psicotica mentre dalla bocca uscivano raggi luminosi. La motivazione della censura è stata: “Le immagini violano il regolamento sulla pornografia“. Pornografia. Non l’hanno censurata perché erano immagini violente o allucinate ma perché si intravedevano i capezzoli della ragazza (se così si può chiamare), quasi sempre coperti da body painting o sovrimpressioni di mille immagini sincopate asincrone. Questa è pornografia? Videoarte in mostra a probabilmente la più rinomata esposizione d’Arte al mondo? Ci sono pagine Facebook che inneggiano al fascismo e all’omicidio, che suggeriscono le modalità più dolorose con cui suicidarsi o sezionare corpi più facilmente, sono li da anni, ma quelle tette tutto tranne che eccitanti sono state censurate in 30 secondi. Ipocriti. Lamentandomi con l’accaduto con un operatore fisico (probabilmente un indiano sottopagato incatenato alla tastiera in un capannone con altri cinquemila dipendenti simili a lui) mi ha confermato la censura. Mi sarebbe piaciuto fare la foto a Zuckerberg mentre stringeva la mano all’artista in questione sorridendo davanti alle telecamere. Sarà per la prossima volta. Ipocriti.
Dopo questo sfogo da vecchio brontolone che urla al televisore guardando il telegiornale, dopo tanti premi al peggio del peggio e prima della seconda parte del reportage dedicata a quanto di bello ed evocativo visto alla Biennale Arte 2019, il premio come miglior opera d’arte vivente by Cricchetta.it va all’ultrasettantenne che ho pedinato per tutto il pomeriggio per fotografarla assieme a più opere possibili, è un omaggio all’antica arte sartoriale unita ad un ardore moderno, capolavoro:
To be continued…