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#BiennaleArchitettura2023 – La Cricchetta va in Biennale ed. 2023 – Vernice della 18sima Biennale di Architettura

di il 23/05/2023
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Cerco ogni anno di leggere il meno possibile delle anticipazioni riguardanti i vari padiglioni per cercare di non essere influenzato nel giudizio, ma soprattutto per essere sorpreso. Certo questa attitudine ha il suo contro: arrivare completamente impreparato, e alla Biennale di Architettura, dove tecnica e progetti sono alla base, implica un numero di opere non comprese abbastanza rilevante.

Di seguito le cose che hanno più attirato la mia attenzione.

Nel Padiglione Centrale la curatrice di questa edizione, Lesley Kokko, ha riunito diversi artisti legati dalla blackness in uno spazio denominato Forza Maggiore, in cui viene trattata l’africanità vista come una radice culturale antica e allo stesso tempo una situazione contemporanea complessa (vedi diaspora in molti paesi africani).

Un video Robot of Brixton mi lascia interdetto. Una serie di cyborg ripropongono la protesta degli anni Settanta effettuata a Brixton dalla minoranza di colore. Il video è davvero bello ma mi sfugge completamente il motivo per cui sia esposto in una Biennale di Architettura.

Il padiglione dell’Uzbekistan consiste in un labirinto costruito da mattoni creati da resti di mattoni veneziani e terracotta dell’Uzbekistan, al centro della struttura è piazzato un video che illustra la costruzione della struttura stessa. Molto buio, molto affascinante, l’installazione ricrea fortezze di terracotta dell’Uzbekistan che io riuscii a vedere in un viaggio di anni fa e sinceramente mi pare che l’effetto ci sia interamente.

La Finlandia porta un tema assai importante di questi tempi: la scarsità dell’acqua, e il risparmio che cerca di effettuare riguarda nel più quotidiano dei gesti e cioè tirare lo sciacquone dopo essere stati in bagno.

Il prototipo del bagno presente nel padiglione si rifà ad una veccia usanza finlandese denominata Huussi che sfrutta i bisogni fisiologici per concimare; il problema però è che non permettono di usare la toilette per riuscire a capire esattamente la dinamica del risparmio.

Il padiglione della Serbia si affida al racconto di un passato nemmeno troppo recente, la fiera internazionale in Lagos nel 1977, dove dei gruppi di architetti anticolonialisti illustrarono interventi diretti alla modernizzazione degli stati africani dell’epoca.

La cosa di forte impatto è come viene raccontata questa Fiera, con una struttura in salita nel quale pavimento vengono proiettate le immagini e i progetti, in modo che lo spettatore ci cammini sopra, in una sorta di percorso verso l’alto.

Il simbolo di un disagio che sta in questo momento avendo molta notorietà in Italia, cioè la tenda, espressione del caro affitti per gli studenti fuori sede, è nel padiglione scandinavo simbolo di libertà. Una biblioteca itinerante che è stata creata si installa all’interno del padiglione, una raccolta di libri che racconta l’architettura Sami, una cultura indigena. All’interno ci sono opere di artisti e artigiani e le vibrazioni sono davvero positive, si percepisce immediatamente che è una situazione già preesistente e non una installazione fatta di proposito per la biennale. Mi siedo tra le pellicce e ne approfitto per mangiami i panini con affettato vegano che mi porto ormai da non so più quanti anni alla vernice della biennale.

Il padiglione del Messico affronta il tema della riqualificazione degli spazi all’interno della città e così il campo di pallacanestro diventa luogo di aggregazione, teatro di una festa con tanto di danza; io ovviamente mi sono subito buttato a ballare con gli intrattenitori, ma essendo da solo non ho potuto documentare le mie qualità in danza messicana. Il nome del padiglione è fantastico Installazione utopica: il campo da pallacanestro contadino.

Bellissima l’idea nel padiglione della Francia (che negli anni si rivela sempre uno dei migliori), Ball Theatre, una struttura a forma di palla enorme che permette l’esibizione di chiunque, per sensibilizzare il pubblico verso un’uguaglianza sociale e culturale.

Nel palco si avvicendano artisti di ogni tipo, cosi mentre si esibiscono ballerini di strada, break dancer e voguering, delle drag queen si preparano nella stanza accanto, sempre all’interno del padiglione, per la performance successiva.

Di grandissimo effetto.

E a proposito di performance, notevole quella effettuata all’esterno del padiglione tedesco da un gruppo di performers attivisti del quale fanno parte anche persone con disabilità che usano l’equilibrio come collante delle loro attività.

Sono stato catturato da principio dal fatto che erano due boni che si stavano esibendo, ma poi chiacchierando con uno dei due ho capito che sono un gruppo molto serio che hanno iniziato il loro percorso durante l’ultima Art Basel. Belle creature.

Anche nel padiglione del Cile la preoccupazione è più rivolta alla conservazione rispetto allo sviluppo. Il progetto, molto bello visivamente, consiste nel cercare di trasportare nel futuro tutte le forme della flora esistenti in Cile, catalogando tutti i semi della specie endemiche presenti nello stato.

L’effetto è davvero mozzafiato, in una stanza in mezza penombra, un numero consistenti di bolle di vetro con all’interno di ognuna una specie diversa.

L’importanza di queste forme endemiche è enorme in quanto colonizzano suoli altamente degradati, ripristinano suoli contaminati, riequilibrano gli ecosistemi dopo catastrofi naturali. Una finestra nel futuro, insomma.

Tornando verso casa, il pensiero che mi resta più nella testa è il seguente: ho visto molte cose, sterminate idee, concetti, progetti. Eppure da qualche giorno a due ore di auto da dove sono ora intere città sono sotto acqua per un’alluvione,

Aldilà di veri o falsi moralismi, retoriche o pianti di coccodrillo mi chiedo ha davvero senso pensare così tanto a costruzioni del futuro se non si sanno ancora risolvere problemi atavici come le esondazioni dei fiumi?

 

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