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Inferno di Ron Howard

di il 24/10/2016
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IL MIO VOTO


 

Un consiglio ai cattivoni che vogliono distruggere l’umanità: se la odiate così tanto, se il vostro intento è così forte come date a credere a parole e avete già trovato il modo di spazzarla via, premete quel cazzo di bottone e sia finita, non aspettate sempre il giorno in cui Marte si allinea con la Luna in modo che si accenda una candela per induzione elettromagnetica e bruci la corda che poi farà calare un peso dentro un secchio che rovescerà la benzina sul serbatoio di un robot antropomorfo che infine attivandosi andrà a premere quel pulsante. Perché i buoni così arrivano sempre in tempo e salvano il pianeta. E io mi annoio. Premete quel pulsante rosso appena è pronto e smettiamola di scrivere storie così idiote.

Il film è tratto dall’omonimo Romanzo-Per-Palati-Grezzi© a firma Dan Brown (quello del pacchianissimo Codice Da Vinci, per capirci). Ron Howard (famoso per aver interpretato Richie Cunningham in Happy Days) è un bravo regista, fa il meglio che può e nella prima mezz’ora usa meravigliosamente uno squisito linguaggio cinematografico per far brillare il materiale mediocre fornito dal libro. Gonfia i muscoli, suda freddo e tiene botta arrancando fino al fantomatico, dovuto e forzatissimo COLPO DI SCENA, un passo falso che disintegra quanto visto di buono, rende la trama tragicomica e trasforma la visione in una deriva banale.

 

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Me lo vedo il buon vecchio Dan, carico di responsabilità per i successi editoriali precedenti: non può rischiare. Deve ripetersi. Per non essere schiacciato dalla pressione della casa editrice deve garantire “more of the same” per il resto della vita. Così ci ri-propina la solita sbobba, lo stesso paesaggio, le grandi opere dei maestri nostrani e misteri del passato artistico mai risolti. Tutto materiale che noi italiani non sappiamo sfruttare. Gli americani in questo invece sono dei professionisti da ammirare. Ma il problema di ripetere eternamente una stessa trama, fondata e sostenuta da un unico colpo di scena ben più che atteso è, ovviamente, che già la seconda volta non fa più lo stesso effetto. Inferno in particolare è uno di quei film che senza il colpo di scena sarebbe stato più bello. Mi spiego: una volta sparata la cartuccia ad effetto lo spettatore si guarda indietro, ripensa a quello che ha visto in funzione del capovolgimento e capisce quanto sia stato pigro e forzato l’ingegno di chi lo ha scritto. Ad esempio, quanto fraudolenta è l’inquadratura della poliziotta che parcheggia la moto sotto l’ospedale? Puro distillato di becero irrealismo, utilizzato come ultima spiaggia per mancanza di talento nello svicolare lo spettatore con intelligenza. Il regista in quella scena fa una sceneggiata per lo spettatore spacciandola invece apertamente come fatta per il protagonista. Mentendo, come se Profondo Rosso non fosse mai esistito.
La trama, insomma, è un disastro e copre con la sua terribile ombra ogni altro aspetto dell’opera ma, per una volta, la pellicola regala un briciolo di qualità ad un libro invece mediocre e per cervelli omologati. Se il romanzo deve essere assolutamente vietato ai maggiori di sedici anni allora il film dovrebbe esserlo a quelli di venti, esclusi gli adulti con lieve ritardo mentale. Per tutti gli altri è un bel film ignorante che se preso per tale potrebbe anche essere coscientemente consigliabile.

Sembra che per vendere un libro in America gli scrittori debbano usare sempre gli stessi stratagemmi, sempre gli stessi ingranaggi, sempre gli stessi trucchetti e sempre gli stessi personaggi. Creando una serie infinita di trame-fotocopia prevedibili e piatte. Tanto da farmi credere che ormai le scriva un software. E non basta mischiare quei soliti ingredienti andati a male con un pizzico di 007 e una spruzzatina di Mission Impossibile senza testosterone: Dan Brown resta lo Stephen King del nuovo millennio, i suoi lettori sono gli stessi, ovvero quelli che per un periodo si vantano di leggere romanzi da quattro soldi che poi diventano la loro vergogna culturale eterna. Ci son persone che mi hanno preso in disparte per chiedermi se per favore potevo smettere di dire in pubblico che avevano letto con fare da intenditore It. Sfrutterò questa gogna invisibile per ricattarli quando saranno famosi.

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