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#EFF2018 – Una serata non programmata all’Edera film festival 2018 di Treviso

di il 12/08/2018
 

Entro in questo storico baluardo del bel cinema di Treviso, lontano mille miglia dal quel Campo dei miracoli dei multisala usa e getta, e mi metto in coda. In coda, si, in un cinema d’essai: il piccolo grande miracolo di un piccolo grande festival. Mi meraviglio del fermento e del fiume di corpi che girano come trottole, tra il piccolo bar, gli stretti corridoi retrò, i bagni e la cassa. Tutto sembra carico di un’energia insperata.
Sono dieci anni che non frequento un festival cinematografico senza il cartellino media-press al collo. Ora invece eccomi immerso e spinto da questo favoloso circo di umanità fatta di alopecia malcelata e boccoli blu, di cougar in ghingheri, hipster fai da te e sessantottini a pugni chiusi, occhiali spessi, forfora e occhi lucidi, il tutto condito da quel pizzico di prosopopea tipica dell’intellettualoide di sinistra. Carovana variopinta, folcloristica, leggermente goffa, eccitata e alla disperata ricerca della scintilla divina che solo l’arte sa regalare. Una collettività forse da Serie B nel look ma da Serie A negli intenti. Li in mezzo mi sento perfettamente a mio agio, col solito sguardo lontano, curioso e che sbircia in penombra dal posto sicuro. In un colpo solo mi ritrovo spettatore di questa passerella e spettatore in poltroncina davanti allo schermo. Senza alcuna responsabilità, senza ansia da prestazione.

Un piccolo festival, alla prima edizione, di soli quattro giorni e dedicato a registi emergenti under-35: di primo acchito avevo pensato fosse una mossa politica per un qualche aggancio al Municipio, il volantino suonava un po’ come quel “diamo ascolto ai giovani” che tanto si spreca in campagna elettorale, così attraente all’orecchio e così calpestato nella realtà, sfruttato tutt’al più per cementare poltrone del potere a glutei rinsecchiti di gente superata, fuori tempo massimo e impossibilitata a capire le regole del mondo per cambiarlo o almeno rattopparlo: per questo di solito dopo tanto “largo alla gioventù” va a finire che un ottantenne si compra lo yacht inseguendo per sé stesso quell’età giovane che, in fondo, detesta. Ma questo è il cinema Edera, gestito da appassionati, rinomato per essere un covo di film artistici, d’Autore, difficili e pensati per l’élite: la Marvel qui non entra mai! Allora, ho corretto il tiro, ragiona, non è che la scelta di racimolare film sconosciuti fatti da ragazzi sconosciuti sia puramente economica? Dettata magari da fondi di bilancio comunali sempre più stitici?
A pensare male ci si azzecca, eppure il mio grillo nell’orecchio insiste: “Ma se lo dici sempre anche tu: che almeno i giovani abbiano il coraggio di osare, perché sono gli unici a poterlo fare!”. E ha ragione, mi eccita l’idea che un’istituzione composta come un festival provi a sfruttarne l’energia potenziale che, specialmente in Italia (dove è normale rimanere nella cameretta della casa della mamma ben oltre i trent’anni), viene spesso sprecata nel limbo della stanchezza, assieme alle vane speranze, schiacciata dall’idea che vivere significhi seguire regole che altri hanno pensato e che sfruttano per stare più comodi. Che almeno l’arte sia punk, vada contro, capovolga l’ineluttabile e si ribelli!

Dopo aver visto i due lungometraggi presentati, ho capito di sbagliarmi. La scelta alla base dell’Edera Film Festival non è né politica né economica, la qualità della selezione è elevata, l’organizzazione è intelligente, accurata e tenera allo stesso tempo, l’aria è frizzante, le sale sono piene, i capannelli fumanti fuori in strada discutono animatamente e il tutto ritorna un retrogusto di vero festival cinematografico, senza compromessi.

La serata inizia con LA TERRA DELL’ABBASTANZA di Damiano e Fabio D’Innocenzo. E’ un film che mi ha lasciato in conflitto. Se da una parte nel panorama del cinema italiano questo spicca come una perla in un porcile, è anche vero che, in sè, rapportato alla settima arte in generale, sembra semplicemente uno spin-off di Dogman di Garrone, enormemente più piatto, monocorde e noioso. Lo ha annunciato subito la presentatrice: “I due giovani registi hanno collaborato a scrivere la sceneggiatura del film di Garrone”. Certo, si vede, l’atmosfera e gli sfondi sono gli stessi ma, forse causa l’inesperienza o una storia claudicante, non sono stati capaci di rendere quella tensione quasi da thriller che invece cresce dal primo all’ultimo minuto in Dogman. Qui galleggia, si accende e si spegne a sprazzi, tra un occhio chiuso e uno aperto del pubblico. In Dogman la violenza è invisibile agli occhi ma percepita fortissimamente, l’empatia col protagonista è alta e quando finisce ti senti arricchito, non assonnato e svuotato. L’assenza di tutte queste sfumature nel film dei fratelli D’Innocenzo è un errore non certo piccolo ma il risultato è stato comunque ben al di sopra delle mie pessime aspettative. Le prove degli attori sono promettenti e la capacità tecnica all’altezza, se elimineranno la pietosa parlata romanesca il prossimo film sarà un successo.

Segue, per finire, FUNERALOPOLIS di Alessandro Redaelli, un documentarista che sa come girare un film. Siamo a livelli di eccellenza a tutto tondo, ha girato con la cinepresa in spalla per un anno, accumulando decine di ore di girato, prima di dare all’opera una forma compiuta, sintetica ed asciutta. Non gli si può criticare nulla, anche le parti risibili sono volute, intelligenti e spiegate con estrema maestria dallo stesso Redaelli a fine proiezione in uno stanchissimo Q&A. Qual è il compito del regista in un film che vuole documentare la realtà se non quello di mostrarla con onestà scegliendo con oculatezza quando e dove mettere la cinepresa? L’immagine segue un gruppo di eroinomani nella loro dipendenza, in treno, per strada, nelle loro follie, nei festini e nei dialoghi strampalati, creduti profondi, su argomenti di teologia, filosofia e sociologia. Tragici e comici allo stesso tempo. Simpatici, perché anche loro, nonostante l’annebbiamento, davanti ad una telecamera non resistono ai comportamenti eccessivi, fasulli e che mai avrebbero posto in essere altrimenti. L’effetto Grande Fratello vince sull’eroina 1 a 0.
Il bianco e nero è stato usato per dare la stessa opportunità di comunicare a tutte le scene, appiattendo cosi quelle più truci e cruente fatte di i buchi sul collo, vomito e sangue. E’ una scelta che dimostra una maturità artistica nuova, forse unica nel panorama italiano che fa numeri a suon di tette, ricette di cucina, gossip e partite di calcio, meglio se col morto.
Il giocare coi protagonisti, il riuscire a mostrarne aspetti così differenti e il confezionare per lo spettatore una storia interessante è stato sorprendente e totalmente inaspettato.
Promosso, peccato che sia praticamente impossibile da distribuire nelle sale ma mi auguro che girando per i festival i produttori si accorgano di questo talento. I talenti sono gli unici gioielli capaci di creare altri gioielli, per questo vanno aiutati. Sarebbe bello pensare che film così riuscissero ad essere di ispirazione a qualche altro meraviglioso incosciente.

Tutte le info su funeralopolis.it

Velo pietoso sulle domande fatte al regista dal pubblico, aria alla bocca che insisteva su un’unica direzione: gli aspetti morali legati all’uso di eroina in un film documentario. Come a dire che avrebbe dovuto prendere posizione contro “quei disperati” che stavano facendo una cosa sbagliata e illegale. Tanto valeva sputare sulla pellicola, il regista avrebbe sofferto di meno. Non sanno che l’obiettivo ultimo dell’arte è semmai fare in modo che la gente riveda i suoi pregiudizi. E’ dovere del regista astenersi dal condannare e osannare, il film deve essere il trampolino che dà modo allo spettatore di digerire e poi rielaborare quanto visto in maniera personale e originale, non veicolata, inoculata e indotta. Il film deve sfondare il recinto, fare uscire il pubblico bue dalla trappola televisiva e da troppe chiacchiere da bar, deve saper aprire porte che sembrano ormai inchiodate agli stipiti.

Caro Edera Film Festival, mi sei piaciuto, al prossimo anno!

commenti
 
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  • Sandro Fantoni del Cinema Edera
    10/09/2018 at 1:09

    Leggo solamente ora il tuo articolo.
    Complimenti. Una rarissima analisi critica sincera e puntuale. Ne leggo tantissime da molti decenni, confesso che tra pennivendoli e incalliti conformisti, la tua arriva come autentica aria fresca foriera di quella ricchezza che possono produrre i liberi pensatori.
    Spero di fare presto la tua conoscenza.

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