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#TFF33 – Brooklyn di John Crowley

di il 24/01/2016
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Julie Walters, sempre in forma!

NON MI PIACE

Alcuni luoghi comuni sugl'immigrati (siano essi Irlandesi o Italiani)

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Dopo l’anteprima al Torino Film Festival, il film sarà distribuito il 4 febbraio

 

Fazzoletti, una bella scorta. “Brooklyn” (in gran parte grazie al fascino e alla tenerezza nel volto di Saoirse Ronan), offre una fiaba gentile e romantica. E’ evidente che il regista, John Crowley, si trova a proprio agio a dirigere giovani attori esordienti (già nel film “Boy A” dimostrò di essere straordinariamente fedele al romanzo, e aiutò al lancio del giovanissimo Andrew Garfield). Questo film rappresenta quella bella boccata d’aria fresca, che senza troppe velleità o manierismi d’autore, s’insinua finalmente in una stagione di cinema che sembra non voler lasciare spazio alla capacità di sognare.
Eilis s’imbarca nella sua esperienza, lascia la piccola contea irlandese in cui sembra non esserci un luogo per lei, e si prepara per il grande salto verso l’America. La trasferta in nave verso New York viene resa sullo schermo in maniera quasi teatrale, simile a quella che concepì Emanuele Crialese in “Nuovomondo”, e mi piace pensare che possa essere un piccolo omaggio al regista nostrano.
Già in suolo Americano, e senza ulteriori passaggi, si entra nel cuore della storia. Eilis non riesce a scacciare il pensiero della lontananza, dello sradicamento. Questa sorta di esilio è lenita solo tramite la corrispondenza con la sorella. Il regista è capace di cogliere l’inquietudine della protagonista, rendendo quei momenti davvero commoventi. Siamo nel 1951, ed Eilis dimostra di saper adattarsi a questa nuova società, trova un lavoro, inizia a studiare, condivide le cene nella residenza che accoglie diverse altre ragazze immigrate, gestita da una benevola e premurosa padrona di casa (una superba Julie Walters, che già da “Billie Elliot” sembra non saper sbagliare un colpo).
Pur non essendo un film si Todd Haynes – insuperabile quando si tratta di costumi, adattamento temporale, scelte stilistiche e scenografiaBrooklyn ci riporta pressoché fedelmente indietro di 65 anni. Quasi come a dire che il regista ha scelto di enfatizzare altro: le sfumature dell’umore. Come la curiosità che dimostra a scuola, il primo ballo o la prima brutta notizia. E gli spettatori involontariamente lasciano che i costumi, i foulard ed i vestiti da pin-up rimangano dove devono essere: sullo sfondo, a non distrarci.
Eilis incontra l’affascinante Tony Fortini a un piccolo ballo di quartiere. E’ un giovane idraulico italo-americano che inizia a corteggiarla. L’intesa tra di loro, mentre si sviluppa quasi come perno della storia, è un incanto che trasporta. La sera che finalmente Tony espone i suoi sentimenti, e vulnerabilmente le dichiara il suo amore, Eilis ringrazia per la piacevole serata, senza corrispondere. Si ritrae. E’ il momento più sintomatico, quello in cui si comprende che la distanza porta a sviluppare un determinato grado di anafettività, ed Eilis non ne è impermeabile.
Come un piccolo taccuino in bianco, Eilis scrive la sua storia, fatta d’incertezze, di nodi che non riescono a sciogliersi, di confusione, ma senza fallimenti. Il film dimostra che c’è gentilezza e la nostalgia non rendono deboli, anzi, Eilis cresce e in poco più di due ore, la piccola fornaia di paese, supera molte prove, non è mai statica. È importante concepire Brooklyn come un film che non cerca di essere sdolcinato (lungi dall’esserlo), non è neppure un film improbabilmente triste, si tratta di un film che funziona in ogni proposito e rivendica la legittimità dei sentimenti. Tutto sommato, il detto “casa è dove: _______________” (riempire a piacimento), non è poi così trito e ritrito.

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