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#BiennaleArchitettura2018 #Freespace – Vernice 16ma Biennale Architettura: la Cricchetta è sempre in festa

di il 28/05/2018
 

Aldilà del fatto che è sempre un evento artistico di notevole importanza, la commistione tra parco giochi e festa tra amici che offre questa occasione è sicuramente la fascinazione più forte: si va subito alla ricerca delle cose più buffe e strane che catturino immediatamente l’attenzione.

Ma facciamo un passo indietro: l’arrivo ai Giardini, sede della Biennale. Se già per me, che sono veneziano di terraferma, prendere autobus e vaporetto è paragonabile a qualche ora in Purgatorio (se non proprio all’inferno), cosa deve essere mai per tutti quelli che non hanno idea di come funzioni Venezia?Probabilmente alla fine solo fascino. Si perché è davvero strana questa cosa che proprio la città che ospita la Biennale di Architettura, dove ci sono progetti per portare migliorie a qualsiasi situazione, cose avveniristiche e risolutrici, sia il posto in cui i problemi di trasferimento e la normale vita di tutti i giorni siano quasi impossibili. Non è certamente per la peculiarità della sua composizione strutturale, ma per come è gestita: una tetta da cui succhiare soldi continuamente nel disinteresse di piani futuri. Un bancomat attuale, ma nulla oltre il presente.

 

Ci sono facce conosciute, persone del settore, curiosi, molti giovanissimi studenti; ma per tutti il primo pensiero è la caccia alla borsetta: da anni ormai, sia per la biennale arte che per quella di architettura, ogni padiglione stampa una borsetta, con all’interno il materiale per la stampa. Fin dai primissimi minuti inizia la ricerca della più bella, della più originale, di quella che viene consegnata con meno generosità (che ovviamente diventa l’oggetto di culto della prima giornata).

Nonostante i temi siano alti e intellettuali, il desiderio della borsetta avvampa in quasi ognuno dei partecipanti.

Altro must della vernice, che poco ha a che fare con l’intento cultuale, sono le inaugurazioni, leggi rinfreschi dove si mangia e beve gratis.

Nonostante l’aplomb che governa tra i discorsi degli intervenuti, nonostante tutta la loro classe e l’eleganza, il pubblico della vernice tende a perdere un po’ il controllo quando si tratta di sgomitare per avere champagne, prosecco o qualche pezzo di formaggio gratuito. Trovo la mia amica Bubi, che lavora in uno di questi stand e non sembra felice: “Cavallette“, dice lei.

Proprio tra i tavolini di un catering, sorseggiando un prosecco, conosciamo una ragazza che ha collaborato alla realizzazione dell’opera al padiglione australiano: 168.000 semi australiani, fatti crescere a Sanremo (dove c’è un microclima ideale per la crescita delle piante) e poi trasportati dentro il padiglione, che ha solo vegetali e nient’altro. Cresciute in maniera molto disordinata, fanno sicuramente un bell’effetto. Del resto l’architettura dei giardini è una cosa vecchia di secoli (da rivedere Il Ventre dell’Architetto di Peter Greenaway).

Si diceva del gioco. La Romania propone la riproduzione dei giochi per bambini che si trovavano nei parchi delle città qualche anno fa (forse ci sono ancora, ma non mi è più capitato di vederne).

Quindi giostrina, altalene e ping pong per affermare che nel giocare insieme in un luogo pubblico si conquista una coscienza collettiva, che sta sparendo in un periodo in cui le esperienze ludiche individuali sono le più usate. Un po’ altisonante ma parecchio vero; resta il fatto che ho completamente disimparato a giocare a ping pong, perché non riuscivo a buttare la pallina dall’altra parte (mai stato un campione, del resto).

Di forte impatto è stato il padiglione dell’Egitto, intitolato Robavecciah ed improntato tutto sull’attività commerciale spontanea. Quindi souk, marciapiedi, carretti, Apecar: l’utilizzo del suolo pubblico per un’attività antica presente anche in un mondo in continua evoluzione. Il video narra di come tutti gli oggetti presenti nella sala espositiva (carretto compreso) siano stati oggetti di compravendita/baratto.

Sicuramente una visione molto romantica dell’architettura e della vita di tutti i giorni di una città.

Ante di armadietti o armadi arancioni (visivamente grande effetto) che nascondono stanze, mostri, stanze per lo studio, divani con seduta alternata per dare la possibilità a due persone di trovarsi viso a viso. E’ tutto un aprire e chiudere, trovandosi davanti persone che stanno cercando di aprire da dentro la stessa porta, per poi finire nella stanza di John Lennon e Yoko Ono, grande tenerezza.

Accanto c’è il Belgio, un agorà tutto blu usato per le conferenze spontanee. Molto simile a quello del padiglione della Grecia, ma senza dubbio più efficace e meno tronfio. La cosa positiva è che fanno togliere le scarpe e quindi per una decina di minuti sento una meravigliosa sensazione di respiro ai miei (complici anche i prosecchi) piedi gonfi.

Delusione in Svezia: bellissimi, enormi, palloni aerostatici per la dimostrazione della convivenza di acqua e aria, elementi naturali all’interno degli stessi. Io e l’amico di sempre, Giulio, siamo un po’ perplessi perché non capiamo dove sia l’acqua in queste strutture. Ci rivolgiamo quindi ad una signorina molto gentile per sapere come funzioni questo meccanismo e lei con un’aria sconsolata ci avverte che l’acqua non c’è per dei problemi che ha avuto il curatore. Così mi domando: “Se tutto si basa sulla correlazione tra due elementi e ne manca uno, ma che esposizione è? Non è detto che non risolvano in futuro.

La Germania ha la struttura e la complessità di una mostra vera e propria: la “divisione” come protagonista. Il famoso Muro ma anche altri, costruiti o anche soltanto culturali. Di contorno c’è la stanza coi totem neri, in realtà bacheche informative e i bellissimi video che mostrano la vita delle persone che vivono in paesi divisi da quelli limitrofi per razza o religione (Gerusalemme, Coree, Cipro, Irlanda). Richiede però un tempo tendente all’infinito, un peccato davvero. Da rivedere durante l’estate.

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